Si smaterializza la condotta di terrorismo ma non le prove digitali che la dimostrerebbe
di Francesco Giuseppe Catullo
Perfeziona la fattispecie di cui all’art. 270 bis c.p. la condotta del soggetto che, facente parte di una cellula collegata con un’organizzazione terroristica internazionale, collabora nella gestione di forum, siti o blog in cui vengono pubblicati materiali propagandistici, commenti e documenti dal contenuto di inequivoco sostegno all’organizzazione terroristica, così svolgendo attività di propaganda, apologia e proselitismo, finalizzate a creare emulazione, indirizzare il consenso, incitare alla violenza, rafforzando, mediante capillare divulgazione, il proposito criminoso propagandato.
Corte di Cassazione – Sezione I – Sentenza 7 ottobre 2022 – 13 dicembre 2022, n. 47099
(Presidente Casa – Relatore Aprile)
1.1. Il giudice di primo grado aveva affermato la responsabilità di L.T. G. per il reato di cui all’art. 270-bis, primo e secondo comma, cod. pen. (capo A), per avere partecipato ad una associazione con finalità di terrorismo e di eversione, denominata F.A.I-F.R.I. (Federazione anarchica informale – Fronte rivoluzionario internazionale), formata da più cellule decentrate relazionantesi anche attraverso la rete internet, resasi responsabile dell’esecuzione di attentati ed azioni terroristiche e, comunque, violente sia in Italia che all’estero, nonché per il reato di cui all’art. 414 cod. pen. (capo P e capo Q), perché in concorso con altri e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, istigava alla commissione di delitti e faceva apologia dell’organizzazione terroristica e delle sue azioni violente, elaborando, redigendo e divulgando attraverso il web i documenti ed i comunicati riconducibili alle attività criminose della predetta associazione, con i quali si istigava alla commissione di delitti non colposi; in particolare la condotta di istigazione e apologia veniva circoscritta a due momenti; il primo (capo P) per le condotte commesse fino all’esecuzione della misura cautelare a suo carico; il secondo (capo Q) per le condotte successive alla scarcerazione. 1.2. Con riguardo al capo A), il giudice di secondo grado ha escluso: la valenza accusatoria delle dichiarazioni rese dall’imputato; la rilevanza accusatoria dell’incontro tra l’imputato e l’associato F. S.; la rilevanza, sotto il profilo della partecipazione associativa, della traduzione e pubblicazione di materiale prodotto da altri, potendosi ascrivere tale condotta alla semplice condivisione di idee, senza portare necessariamente a configurare l’organica compenetrazione richiesta dalla norma incriminatrice del capo A); la riferibilità all’imputato delle attività connesse all’utilizzo negli attentati del 2011 del simbolo FAI-FRI, ottenuto per mezzo della rielaborazione del materiale trasmesso dalla organizzazione consorella operante in Messico, del quale l’imputato era soltanto stato messo a conoscenza da due associati italiani; la valenza probatoria del “passaggio di testimone” a favore di L.T. nell’attività di diramazione dei messaggi dopo la perquisizione del 29 marzo 2012. 1.3. Con riguardo al capo P), il giudice di appello ha anzitutto affermato che “le comunicazioni oggetto di valutazione non consentono un’analoga integrazione tra testo verbale e immagini, onde individuare specifici delitti oggetto di istigazione”, trattandosi della divulgazione di testi penalmente irrilevanti. Del resto, le “poche comunicazioni dotate di una minima intrinseca e autonoma specificità”, quali ad esempio “qualche rivendicazione di attentati”, sono semplici “ripubblicazioni” nelle quali l’imputato non manifesta alcuna condivisione o esaltazione, sicché non sono sussumibili sotto l’art. 414 cod. pen. Manca, in definitiva, il dolo di istigazione, trattandosi della semplice riproposizione di materiale prodotto da altri. 1.4. Con riguardo al capo Q), il giudice di appello ha affermato che non è individuabile in capo all’imputato nessuna attività in merito al nuovo progetto editoriale “Croce Nera Anarchica” che prese le mosse dopo le perquisizioni del 2012; allo stesso, in sostanza, si attribuisce soltanto il possesso delle credenziali di accesso al sito e di avere svolto, insieme ad altri, attività di aggiornamento dello stesso nonché di avere tradotto alcuni materiali prodotti da altri e poi pubblicati sul sito in questione.2. Ricorre il Procuratore generale della Corte d’appello di Torino che sviluppa tre motivi. 2.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, anche c-en in relazione al difetto assoluto della motivazione, e il vizio della motivazione per contraddittorietà e illogicità con riguardo all’assoluzione dal capo A). Il giudice di appello ha immotivatamente disconosciuto la valenza confessoria delle dichiarazioni dell’imputato che ha ammesso: i contatti con gli altri imputati in presenza (incontro con F. e B.) e a distanza (con molti altri associati), come del resto risulta dalle indagini (intercettazioni anche telematiche); di essere il proprietario delle utenze utilizzate per la produzione, traduzione e diffusione dei comunicati e del materiale relativi all’associazione terroristica. D’altra parte, il giudice di appello ha omesso di valutare l’essenzialità del contributo offerto dall’imputato all’associazione, che era stato invece ampiamente illustrato dal primo giudice sulla base della puntuale analisi del materiale inserito sul web dall’imputato al quale l’organizzazione riconosceva e attribuiva un compito preciso. Come già affermato dalla Corte di legittimità nella fase cautelare — nella quale si era esaminato lo stesso compendio probatorio poi versato nel giudizio abbreviato — le condotte dell’imputato sono “sintomatiche” della partecipazione associativa. 2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all’art. 414 cod. pen., e il vizio della motivazione per contraddittorietà e illogicità con riguardo all’assoluzione dal capo P). Non è anzitutto comprensibile l’argomentazione secondo la quale le comunicazioni oggetto di valutazione non consentirebbero una integrazione tra testo verbale e immagini tale da dotare la comunicazione di una capacità di impatto sufficiente a spingere all’emulazione; il materiale inserito sul blog “parolearmate” è ampiamente illustrato, oggetto di captazione ed esame approfonditi; esso è relativo all’elogio di attentati dinamitardi e alla adesione e diffusione della lotta armata come strumento politico. La circostanza — che secondo il giudice di appello sarebbe idonea ad escludere la capacità di istigazione ed emulazione nonché il valore apologetico secondo la quale parte del materiale pubblicato dall’imputato non è originale, essendo già stato pubblicato da altri, è irrilevante poiché, in disparte il valore aggiunto costituito dalle traduzioni effettuate dall’imputato, la norma incriminatrice non richiede affatto la novità o l’originalità del contenuto, dovendosi piuttosto verificare, come ha fatto il primo giudice, la capacità istigatoria e apologetica della “ripubblicazione”. 2.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge, con riguardo all’art. 110 cod. pen., e il vizio della motivazione per contraddittorietà e illogicità con riguardo all’assoluzione dal capo Q). La Corte di secondo grado ha escluso di potere addebitare all’imputato l’inserimento dei contributi sul sito “Croce Nera Anarchica” perché non sarebbe sufficiente l’accertata disponibilità in capo allo stesso delle credenziali di accesso all’utenza usata nella circostanza. Orbene, se è massima di comune esperienza che il possesso delle credenziali attribuisce la paternità dei contributi inseriti con tale utenza, sicché spetta all’interessato di fornire la prova che l’utenza è stata utilizzata da altri senza il suo consenso, la valutazione compiuta dal primo giudice, che quello di secondo grado ha omesso di considerare, si incentra anche sulla accertata e non contestata attività di manutenzione del sito compiuta dall’imputato, dal medesimo ammessa, nonché sulla già ammessa attività di traduzione dei contenuti in lingua straniera (prevalentemente inglese) che venivano poi inseriti sul sito.
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. 2. Sul delitto di associazione terroristica contestato al capo A) occorre fare alcune premesse che consentono di ritenere fondate le censure, anche in diritto, sviluppate dal pubblico ministero. 2.1. Si è chiarito che integra il delitto di partecipazione ad associazioni con finalità di terrorismo la condotta dell’agente volta alla sistematica diffusione verso terzi di informazioni provenienti da fonti, spesso di accesso limitato, sicuramente riferibili al gruppo terroristico ed attinenti alla vita di questo, in quanto sintomatica dello stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione (Sez. 5, n. 17758 del 27/01/2022, Halili, Rv. 283368). Risulta, pertanto, priva di qualsiasi rilevanza la circostanza che il materiale oggetto di diffusione non sia originale, nel senso di inedito, mentre rileva piuttosto che provenga da organizzazioni collegate e che si riferisca a vicende associative di rilevante interesse per i potenziali fiancheggiatori o associati. Anzi, l’attività di diffusione del materiale prodotto da organizzazioni terroristiche straniere, anche per mezzo della traduzione nella lingua locale volta ad incrementarne la conoscenza e propalazione, costituisce una condotta dotata di particolare efficienza causale, sotto il profilo del rafforzamento del vincolo associativo, ed espressiva della intraneità del soggetto, che compie tale delicata e rilevante attività di diffusione sui siti di organizzazioni figlie o collegate che operano nel territorio dello Stato in sinergia e collegamento con quelle estere, poiché rende palese, mediante tale sintomatica azione, l’appartenenza associativa. È dunque fondata la censura del pubblico ministero relativa all’errata applicazione della legge penale fatta dal giudice di secondo grado, il quale ha apoditticamente ed erroneamente affermato che l’indicata attività di traduzione e ripubblicazione sarebbe priva di rilevanza sotto il profilo dell’art. 270-bis cod. pen. 2.2. D’altra parte, in tema di associazione con finalità di terrorismo internazionale, la mera adesione ideologica alla dottrina propugnata non è elemento sufficiente ad integrare la prova del ruolo di partecipe alla stessa, non potendosi prescindere dalla necessità di raccordare il contributo individuale del singolo con l’entità associativa, occorrendo, tuttavia, al fine di riscontrare un’effettiva partecipazione, una meditata analisi delle concrete caratteristiche dell’associazione e dei comportamenti dei singoli, onde coglierne la specifica portata incriminante (Sez. 2, n. 7808 del 04/12/2019 – dep. 2020, El Khalfi, Rv. 278680 – 05). È quindi errato in diritto escludere la partecipazione all’associazione da parte di un soggetto che, facente parte di una cellula collegata con l’organizzazione internazionale mediante un collegamento strutturale e biunivoco (di scambio e collaborazione), collabora nella gestione di un forum, un sito o un blog nel quale vengono inseriti materiale propagandistico, commenti e documenti dal contenuto di inequivoco sostegno all’organizzazione terroristica, così svolgendo attività di propaganda, apologia e proselitismo, finalizzate a creare emulazione, indirizzare il consenso, incitare alla violenza, rafforzando, mediante capillare divulgazione, il proposito criminoso propagandato. È quindi fondato il ricorso del pubblico ministero che evidenzia l’errore nell’applicazione della legge penale e il vizio della motivazione con riguardo alla qualificazione della condotta dell’imputato che, secondo la valutazione compiuta dal primo giudice, non adeguatamente superata dalla scarna e assertiva motivazione del giudice di appello, che deve «offrire una motivazione puntuale e adeguata» (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 – dep. 2018, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430), aveva invece ravvisato una condotta tipica, rientrante nel richiamato canone legale. In particolare, il primo giudice, dopo avere chiarito che non è contestata la sussistenza ed operatività dell’organizzazione terroristica di cui al capo A), verificava la partecipazione di L.T. all’associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico denominata FAI-FRI, resasi responsabile dell’esecuzione di attentati ed azioni terroristiche, o comunque violente, poste in essere sia in Italia, che fuori dal territorio nazionale, ha provveduto ad elencare una serie di attività poste in essere dall’indagato ritenute rappresentative della sua partecipazione all’associazione indicata: – l’attività di traduzione, eminentemente dalla lingua inglese a quella italiana, di rivendicazioni e documenti di centrale importanza nell’ambito delle offensive rivoluzionarie in atto da parte delle realtà anarco-insurrezionaliste nazionali ed internazionali (attività questa non isolata od occasionale, ma sistematica, di particolare delicatezza, come ad es. nel caso del comunicato della formazione ellenica denominata “cospirazione cellule di fuoco” in lingua greca), nonché l’apporto fornito dall’indagato, attraverso il blog denominato “cenere”, da considerare strumentale e complementare a quello svolto da F. S.G., attraverso i siti “culmine” e “iconoclasta”, mediante i quali veniva veicolato a livello globale il pensiero rivoluzionario espresso dalle più rilevanti realtà anarcoinsurrezionaliste, quali la “FAI/Fronte Rivoluzionario Internazionale” la “Cospirazione delle Cellule di Fuoco”; – la fondazione da parte di L.T. unitamente ad altro soggetto nel gennaio 2012, del sito “Parole Armate” che, analogamente al blog “Culmine”, costituisce il mezzo di scambi di idee fra appartenenti alla FAI/FRI (in proposito il primo giudice ha individuato una serie di elementi che indicano la riferibilità a L.T. del sito in questione, tra cui uno scambio di mail all’esito del quale L.T. e l’altro si incontrano con F. e D.B.); l’adesione da parte di L.T., con la creazione di tale sito, al progetto FAI/FRI, emerge dal contenuto della missiva in atti diretta a C. M. da F., in cui quest’ultimo rassicura l’interlocutore che “con i giovani compagni di Parole Armate cureremo la pubblicazione in italiano del libro delle CCF in relazione all’appello internazionale”; – la presentazione del sito “Parole Armate” (“Perché Parole Armate?”), eloquente nel contenuto, quanto a finalità e adesione al progetto FAI/FRI; – lo scambio di mail tra il blog “Culmine” ed il blog “Parole Armate”, sulla questione dei prigionieri rivoluzionari destinatari di “solidarietà rivoluzionaria”, con un lavoro di analisi svolto su ogni singolo detenuto dichiaratosi anarchico, in ogni parte del mondo, al fine di considerarlo degno ricettore di solidarietà rivoluzionaria, da intendersi come soggetto al quale dedicare azioni dinamitarde; da tali comunicazioni telematiche emerge una perfetta affinità tra la coppia F. – D.B. da una parte e L.T. – A. dall’altra e l’attività posta in essere con i rispettivi blogs costituisce un “caposaldo” del patto di mutuo soccorso: la “Comunicazione tra gruppi/singoli”; – il contenuto della intercettazione ambientale in data 28 gennaio 2012 nella casa di F. e D.B. con L.T., dalla quale si evince il ruolo di F. nell’impartire direttive a L.T. e ad A. circa le modalità di divulgazione di vario materiale attraverso il sito “Parole Armate”, trattando aspetti relativi alla traduzione e divulgazione dei comunicati ritenuti più importanti; inoltre, nel corso dell’incontro, F. mostra a L.T. il simbolo mai emerso nel panorama dell’anarchismo insurrezionalista che anticipa di quasi un mese il simbolo della CCF con l’aggiunta delle sigle FAI e FRI della campagna attentati del dicembre 2011; – il passaggio del testimone nella diramazione dei messaggi successivi alle perquisizioni del 29 marzo 2012, dai gestori di “Culmine” (F. e D.B.) a L.T. e ad A. Tommaso, gestori del sito “Parolearmate” come ribadito nel comunicato “ritorna il boato della parola armata”;- il materiale rinvenuto all’esito della perquisizione effettuata in data 29 marzo 2012, presso l’abitazione di L.T., nel corso della quale sono stati rinvenuti, tra l’altro, l’indirizzo del padre della nota anarchica greca Olga Jkonomidou (alla quale si riferisce il “nucleo Olga”, firmatario della rivendicazione dell’attentato all’ing. Adinolfi); il file in formato open office dal titolo “Introeng” creato il 20 gennaio 2012, che rappresenta l’introduzione in lingua inglese, pubblicato come primo post sul blog “Parole Armate” in data 26 gennaio 2012 nel quale vengono evidenzi evidenziati i passaggi grafici che hanno portato alla creazione del logo del blog “Parole Armate”. Il giudice di appello, oltre ad affermare erroneamente l’irrilevanza delle attività di traduzione e ripubblicazione che ha posto in essere l’imputato, attività che egli neppure contesta nel proprio interrogatorio ingiustificatamente ritenuto privo di rilievo probatorio, ha del tutto omesso di criticare specificamente, e demolire nella loro attribuita valenza probatoria, le logiche valutazioni compiute dal primo giudice, peraltro in piena consonanza alla interpretazione di diritto effettuata in sede di legittimità (Sez. 5, n. 42285/2014, L.T.). 2.4. Il mandato attribuito al giudice di rinvio è pertanto quello di provvedere, in conformità ai principi di diritto sopra richiamati, a una nuova valutazione del materiale probatorio acquisito in ragione del rito abbreviato, colmando anche le lacune e i vizi motivazionali sopra evidenziati nella piena libertà delle proprie valutazioni di merito. 3. Sono fondati anche il secondo e il terzo motivo. 3.1. È apodittica, come fondatamente denuncia il pubblico ministero, la motivazione che esclude l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 414 cod. pen. in relazione al capo P), poiché la condotta viene analizzata in modo del tutto slegato dalla partecipazione al capo A), mentre l’elemento psicologico non può essere indagato in modo avulso dal contesto delle azioni poste in essere nel contesto temporale di riferimento. D’altra parte, secondo la valutazione logicamente compiuta dal primo giudice, che quello d’appello omette di criticare in modo specifico, la condotta di istigazione — che l’imputazione riferisce espressamente al delitto di cui al capo A), la permanenza del quale è ancorata, come per il capo P), all’esecuzione delle misure cautelari nel giugno 2012 — ha natura autonoma e dunque concorre con quella associativa, essendo caratterizzata dalla rivendicata volontà di diffondere e fare apologia delle azioni violente poste in essere dall’organizzazione terroristica. Il giudice di rinvio dovrà quindi verificare, nella propria autonomia del giudizio di merito, se sia effettivamente sussistente l’elemento psicologico della condotta rubricata come istigazione e apologia di reato, valutandola nel contesto dei comportamenti concretamente assunti come fatti di rilievo sintomatico dell’addebito di partecipazione all’associazione terroristico-eversiva. 3.2. È, del pari, fondato il ricorso relativo alla partecipazione al delitto di istigazione ed apologia di cui al capo Q). Premesso che i fatti descritti nell’imputazione risultano commessi dopo la revoca della misura cautelare disposta a carico di L.T. (ed altri) per il delitto di cui al capo A), sicché non è ipotizzabile una parziale sovrapposizione temporale tra il capo Q) e il capo A) e deve escludersi qualunque carenza di consapevolezza e volontà nell’azione proprio in ragione dell’arresto subito per il delitto associativo, il ragionamento compiuto dal giudice di appello, che ha escluso il concorso dell’imputato nelle condotte di istigazione e apologia perché i documenti non risultano allo stesso attribuibili con certezza, è illogico e si fonda su presupposti contraddittori. Se è vero, infatti, che L.T. risulta avere compiuto (come riconosce anche il giudice di secondo grado) attività di gestione e manutenzione del sito, nato sulle ceneri di quello sequestrato a seguito della misura cautelare, nonché traducendo del materiale da pubblicare sullo stesso, non si comprende l’iter logico che esclude il concorso nel reato in presenza di una condotta causalmente efficiente, coordinata e scientemente finalizzata a porre in essere le condotte istigatorie e apologetiche, di fatto, eventualmente poste in essere da altri. Orbene, in disparte l’errore di diritto — in cui incorre nuovamente il giudice di secondo grado — che pretende l’originalità (id est: la natura inedita) del contenuto inserito sul sito, sicché, come si è detto, rileva di per sé l’attività di traduzione del materiale che lo stesso imputato non nega di avere svolto, il giudice di appello ha evidenziato dei comportamenti (gestione; amministrazione; contributo di traduzione; disponibilità delle chiavi di accesso al sito) che ha illogicamente ritenuto irrilevanti, mentre appaiono all’evidenza sintomatici del concorso di persone. La disponibilità delle credenziali di accesso attribuisce, da un punto di vista giuridico e logico, la paternità delle attività informatiche svolte, fermo restando che al titolare dell’utenza è consentito fornire elementi logici e probatori da cui desumere l’abusivo utilizzo di esse da parte di terzi; in mancanza di una allegazione in tale senso non può, dunque, sovvertirsi l’ordine logico del ragionamento probatorio richiedendo al pubblico ministero la prova positiva di un fatto negativo, cioè che altri non abbiano abusato dell’utenza del titolare. Del resto, il vizio logico del ragionamento è evidente solo che si consideri che l’imputato, come risulta dalle intercettazioni, ha svolto, per decisione dei vertici della “testata”, specifiche attività di gestione e manutenzione del sito, attività da cui è stata logicamente desunta, secondo il logico ragionamento del primo giudice, una piena partecipazione alle condotte di istigazione e apologia che per mezzo del sito sono state poste in essere dai “superstiti” dell’ordinanza cautelare emessa in relazione al capo A). D’altra parte, come hanno logicamente evidenziato il giudice di primo grado e il pubblico ministero ricorrente, l’attività, che l’imputato non contesta, di traduzione del materiale istigatorio ed apologetico destinato alla successiva pubblicazione sul sito costituisce un chiaro indice di partecipazione alla diffusione di tali contenuti. Anche sotto questo profilo, dunque, la sentenza deve essere annullata con rinvio al giudice di appello perché, in applicazione dei richiamati principi di diritto, proceda a nuovo giudizio, colmando altresì i vizi motivazionali, nella piena autonomia delle proprie valutazioni di merito.
Il commento
Nell’ambito della repressione del fenomeno terroristico, l’indeterminatezza delle fattispecie incriminatrici condiziona l’elasticità dei fatti da provare.
O, viceversa, è la fluidità dell’esperienza fattuale a non consentire al legislatore di determinarla astrattamene.
Le attuali organizzazioni terroristiche hanno perso la loro tradizionale struttura statica per assumerne una fluida in grado mettere in relazione soggetti assimilati da comuni progetti politico-militari catalizzatori dell’affectio societatis (Cass. Sez. V n. 31389/2008). Ciò è stato agevolato da Internet, ossia dal supporto reticolare che ha influenzato la medesima organizzazione associativa che lo utilizza. Le strutture terroristiche sono così diventate improntate ad un modello di adesione spontaneista, prive di formalismi, flessibili, che non necessitano di rapporti di conoscenza tra i singoli associati. La capacità criminale di questi ultimi potrà anche prescindere dalla progettazione di attentati che prevedano l’utilizzo di armi vere e proprie o la realizzazione di singole condotte programmate, purché emergano fatti di propaganda, proselitismo o arruolamento supportati dall’adesione psicologica ad un programma terroristico.
Innanzi a queste logiche di reciproco condizionamento tra fattispecie incriminatrici, fatti storici e prove, si arrende l’Interprete che, rinunciando al rispetto del principio di stretta legalità, ha preso atto che la nozione di ‘partecipazione’ – descritta dall’art. 270 bis c.p. – debba inevitabilmente adeguarsi alle medesime caratteristiche dell’entità in cui si partecipa.
La fattispecie de qua assume così connotati cangianti a seconda della natura e della struttura dell’associazione per delinquere che di volta in volta è chiamata a descrivere (Cfr. Cass. Sez. II, 43917/2022).
In questo circolo ermeneutico, le interrelazioni mediatiche hanno dato il loro contributo, condizionando la stessa modalità di fare terrorismo.
Prima che iniziassero le varie forme di comunicazione veicolate dalle tecnologie informatiche e telematiche, mai nessun sedicente partecipe ad associazioni sovversive avrebbe pensato di lasciare registrazioni (alias prove documentali) dei propri illeciti propositi. Anzi, per le forze investigative la maggiore difficoltà di intercettare le cellule terroristiche tradizionali risiedeva nel fatto che gli associati si attenessero a rigidissimi protocolli di riservatezza che ostacolavano la ricostruzione dei loro rapporti interpersonali.
Attualmente, invece, si assiste ad una radicale inversione di tendenza nella misura in cui i presunti terroristi disseminano di indizi e prove a proprio carico i vari supporti digitali sui cui intervengono.
La sentenza proposta in lettura, riportandosi al proprio precedente Cass. Sez. II, 17758/2022, ravvisa gli elementi costitutivi del delitto di partecipazione ad associazioni con finalità di terrorismo ex art. 270 bis c.p., nella condotta dell’agente volta alla sistematica diffusione verso terzi di informazioni provenienti da fonti riferibili al gruppo terroristico ed attinenti alla vita di questo. Specificando che, ai fini della sussistenza del delitto così come sopra rappresentato, è irrilevante che il materiale diffuso sia inedito essendo sufficiente che a) provenga da organizzazioni terroristiche, b) si riferisca a vicende associative e c) sia di rilevante interesse per potenziali fiancheggiatori o associati.
Secondo il presente arresto giurisprudenziale, perfeziona la fattispecie di cui all’art. 270 bis c.p. la condotta del soggetto che, facente parte di una cellula collegata con un’organizzazione terroristica internazionale, collabora nella gestione di forum, siti o blog in cui vengono pubblicati materiali propagandistici, commenti e documenti dal contenuto di inequivoco sostegno all’organizzazione terroristica, così svolgendo attività di propaganda, apologia e proselitismo, finalizzate a creare emulazione, indirizzare il consenso, incitare alla violenza, rafforzando, mediante capillare divulgazione, il proposito criminoso propagandato.
Stante il menzionato indirizzo, è inevitabile che si assottiglino le differenze tra il reato di apologia e quello di partecipazione ad associazioni con finalità di terrorismo, determinando un impoverimento del rigore probatorio tradizionalmente richiesto per sostenere la seconda a discapito delle garanzie del soggetto sottoposto a procedimento.
In altri termini, sono i medesimi partecipi delle associazioni terroristiche che, utilizzando le forme di comunicazioni telematiche per propagandare il proprio ideale rivoluzionario, forniscono agli investigatori le prove documentali della propria colpevolezza.
Come nel caso oggetto della sentenza proposta in lettura, dove è stata attribuita efficienza causale nella determinazione del delitto di cui all’art. 270 bis c.p. alla condotta di traduzione in italiano di un comunicato terroristico proveniente da un’associazione anarchica internazionale e alla sua successiva pubblicazione sul web.
Tali azioni, a detta del Giudice di legittimità, avrebbero dimostrato l’intraneità del soggetto agente nell’organizzazione terroristica e avrebbero rafforzato tra gli altri partecipanti il vincolo associativo.
In breve: Internet a) ha esteso gli spazi in cui manifestare liberamente il proprio pensiero, b) ha modificato la modalità di commissione del reato di partecipazione in associazione con finalità di terrorismo, c) ha semplificato l’onere probatorio gravante sull’accusa, d) ma indirettamente ha anche eroso le garanzie del singolo sottoposto a processo.
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trattati con il supporto di mezzi cartacei, informatici o telematici e con l’impiego di misure di sicurezza atte a garantire la riservatezza del soggetto interessato cui i dati si riferiscono e ad evitare l’indebito accesso a soggetti terzi o a personale non autorizzato.
Natura del conferimento
Il conferimento di alcuni dati personali è necessario. In caso di mancato conferimento dei dati personali richiesti o in caso di opposizione al trattamento dei dati personali conferiti, potrebbe non essere possibile dar corso alla richiesta e/o alla gestione del servizio richiesto e/o alla la gestione del relativo contratto.
Comunicazione dei dati
I dati personali raccolti sono trattati dal personale incaricato che abbia necessità di averne conoscenza nell’espletamento delle proprie attività. I dati non verranno diffusi.
Diritti dell’interessato.
Ai sensi degli articoli 15-20 del GDPR l’utente potrà esercitare specifici diritti, tra cui quello di ottenere l’accesso ai dati personali in forma intelligibile, la rettifica, l’aggiornamento o la cancellazione degli stessi. L’utente avrà inoltre diritto ad ottenere dalla Società la limitazione del trattamento, potrà inoltre opporsi per motivi legittimi al trattamento dei dati. Nel caso in cui ritenga che i trattamenti che Lo riguardano violino le norme del GDPR, ha diritto a proporre reclamo all’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali ai sensi dell’art. 77 del GDPR.
Titolare e Responsabile per la protezione dei dati personali (DPO)
Titolare del trattamento dei dati, ai sensi dell’art. 4.1.7 del GDPR è Pacini Editore Srl., con sede legale in 56121 Pisa, Via A Gherardesca n. 1.
Per esercitare i diritti ai sensi del GDPR di cui al punto 6 della presente informativa l’utente potrà contattare il Titolare e potrà effettuare ogni richiesta di informazione in merito all’individuazione dei Responsabili del trattamento, Incaricati del trattamento agenti per conto del Titolare al seguente indirizzo di posta elettronica: privacy@pacinieditore.it. L’elenco completo dei Responsabili e le categorie di incaricati del trattamento sono disponibili su richiesta.
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Il Titolare del trattamento
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I dati personali oggetto di trattamento saranno custoditi in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
Diritti degli interessati
Ai soggetti cui si riferiscono i dati spettano i diritti previsti dall’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 che riportiamo di seguito:
1. L’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.
2. L’interessato ha diritto di ottenere informazioni:
a) sull’origine dei dati personali;
b) sulle finalità e modalità del trattamento;
c) sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici;
d) sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
e) sui soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L’interessato ha diritto di ottenere:
a) l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
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