Secondary ticketing, piattaforme e concorrenza: parola alla CGUE (Consiglio di Stato, ordinanza 27 gennaio 2022, n. 592)
di Marco Ingiulla -
Con ordinanza del 27 gennaio 2022, n. 592, il consiglio di stato ha sollevato una domanda di pronuncia pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea volta a ottenere un pronunciamento circa la compatibilità della normativa italiana in materia di vendita di titoli di accesso ad attività di spettacolo sul mercato secondario con il diritto della concorrenza eurounitario.
La vicenda si colloca a valle di un contenzioso amministrativo instaurato dalla società Viagogo (in seguito, “la Società”) per l’annullamento della delibera n. 104/20/CONS con cui l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (in seguito, “AGCOM”) ha accertato, tra le altre, la violazione delle disposizioni domestiche volte a contrastare il fenomeno della vendita o del collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetti diversi dai titolari, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, dei sistemi di emissione dei biglietti (cd. secondary ticketing)
A tal riguardo, giova sinteticamente rammentare che l’art. 1, comma 545 della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019”), “al fine di contrastare l’elusione e l’evasione fiscale, nonché di assicurare la tutela dei consumatori e garantire l’ordine pubblico, [sancisce il divieto di] vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetto diverso dai titolari, anche sulla base di apposito contratto di convenzione, dei sistemi per la loro emissione”. La disposizione fa salva, tuttavia, l’ipotesi in cui autore della condotta sia una persona fisica che agisca “in modo occasionale, purché senza finalità commerciali”.
Sempre in via di eccezione, il comma 545-quater prevede altresì che “i siti internet di rivendita primari, i box office autorizzati o i siti internet ufficiali dell’evento assicurano la possibilità di rimettere in vendita i titoli di ingresso nominativi e garantiscono adeguata visibilità e pubblicità alla rivendita, agendo da intermediari e provvedendo alla modifica dei dati richiesti dal comma 545bis. Il biglietto così rivenduto a persone fisiche deve essere ceduto al prezzo nominale e senza rincari, ferma restando la possibilità per i siti internet di rivendita primari, per i box office autorizzati o per i siti internet ufficiali dell’evento di addebitare congrui costi relativi unicamente alla gestione della pratica di intermediazione e di modifica dell’intestazione nominale”.
Alla luce della disciplina (sinteticamente) tratteggiata, ad avviso dell’AGCOM la Società avrebbe contribuito attivamente alla messa in vendita sul proprio sito, a prezzi maggiorati rispetto al prezzo nominale stabilito sui siti di vendita primari autorizzati, dei biglietti relativi a 37 eventi di diversi artisti. A tal fine, utilizzando risorse umane e tecniche, essa sarebbe intervenuta attivamente ed estensivamente durante tutte le fasi delle transazioni commerciali tra venditori e acquirenti (in particolare, prestando assistenza agli inserzionisti nell’ottimizzazione delle offerte dei biglietti; curandosi della promozione su vasta scala di tali offerte; concorrendo in modo decisivo alla definizione di tutti i principali parametri giuridici ed economici della transazione, inclusi i termini di consegna e il prezzo; occupandosi della gestione operativa e della finalizzazione della transazione) per poi trattenere per sé – al momento del perfezionamento della vendita – una commissione pari ad un valore percentuale del prezzo d’acquisto del biglietto rivenduto.
Sulla scorta di tali rilievi, l’AGCOM ha irrogato alla Società una sanzione amministrativa pecuniaria complessivamente pari a € 3.700.000,00 (€100,000,00 euro per ciascuna delle 37 condotte contestate, singolarmente considerate ai fini del calcolo sanzionatorio).
La Società, a quel punto, ha adito il Giudice amministrativo impugnando il provvedimento e chiedendone l’annullamento.
Per quanto di prevalente interesse in questa sede, va evidenziato che il T.A.R. Lazio, dopo aver qualificato la Società alla stregua di hosting attivo e aver incluso la sua attività all’interno del perimetro applicativo della norma sanzionatoria presupposta all’impugnato provvedimento, ha ritenuto che il divieto di secondary ticketing introdotto dalla citata L. n. 232/2016 non dia luogo ad alcuna restrizione ingiustificata della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, posto che la direttiva 2000/31/CE attribuisce agli Stati membri (art. 3, paragrafo 4) il potere di introdurre limiti alla libera circolazione dei servizi in presenza di peculiari esigenze tra cui la tutela dell’ordine pubblico e dei consumatori, ambito nel quale rientrano le finalità della menzionata normativa interna.
Del pari, non è stato ravvisato alcun contrasto della norma sanzionatoria con l’art. 106 del TFUE in quanto, ad avviso del giudice di primo grado, “da un lato, consentire la vendita dei titoli di accesso esclusivamente ad intermediari autorizzati non comporta l’attribuzione dei contestati “diritti esclusivi”, potendo qualsiasi soggetto in possesso dei requisiti di legge essere abilitato allo svolgimento di tale attività, dall’altro è comunque una misura finalizzata al perseguimento di rilevanti obiettivi di pubblico interesse che non si ritiene comporti alcuna violazione dei principi di necessità, proporzionalità e adeguatezza”.
Sulla scorta di tali considerazioni, l’originario gravame proposto dalla Società è stato rigettato.
All’opposto, con l’ordinanza in commento il Consiglio di Stato ha rilevato che “alla luce dell’esteso disposto normativo così come applicato dall’AgCom, quale che sia la qualifica di hosting provider applicata, attivo o passivo, risulta nella sostanza vietato in radice il mercato secondario svolto a fini commerciali”. Così intesa la normativa applicata, è stata ritenuta rilevante l’eccezione -sollevata dalla Società- secondo cui la misura restrittiva posta dalla normativa nazionale non sarebbe “idonea a distinguere le condotte o attività economiche lesive da quelle non lesive del bene pubblico dalla stessa tutelato” e pertanto non in grado di soddisfare il test di proporzionalità necessario ai fini della compatibilità con le norme fondamentali eurounitarie e costituzionali in materia di divieto di restrizioni alla concorrenza e libera circolazione.
E infatti, a parere dei Giudici di Palazzo Spada, la formulazione della norma porrebbe seri dubbi circa l’adeguatezza e proporzione rispetto agli obiettivi espressamente dichiarati dalla stessa disposizione (lotta all’evasione, protezione dei consumatori e tutela dell’ordine pubblico), al contrario essendo idonea a colpire egualmente, in astratto, tanto le attività lecite quanto quelle illecite. Tale formulazione, inoltre, andrebbe raffrontata con il principio di cui all’art. 106 del TFUE, laddove assegna diritti “speciali o esclusivi” in capo agli operatori del mercato primario, che risulterebbero gli unici soggetti in grado di operare quali intermediari nel mercato secondario.
Il Consiglio di Stato ha pertanto ritenuto sussistenti i presupposti di rilevanza per procedere al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, dei seguenti quesiti relativi all’interpretazione delle citate disposizioni:
se la direttiva 2000/31/CE, e in particolare gli articoli 3, 14 e 15, in combinazione con l’art. 56 TFUE, ostino ad un’applicazione della normativa di uno Stato membro sulle vendite di biglietti per eventi sul mercato secondario che abbia l’effetto di precludere ad un gestore di una piattaforma di hosting operante nella UE, quale la Società, di fornire a terzi utenti servizi di annunci di vendita di biglietti per eventi sul mercato secondario, riservando tale attività ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati da pubbliche autorità all’emissione di biglietti sul mercato primario con sistemi certificati;
se, in aggiunta, il combinato disposto degli artt. 102 TFUE e 106 TFUE osti all’applicazione di una normativa di uno Stato membro sulle vendite di biglietti per eventi che riservi tutti i servizi inerenti il mercato secondario dei biglietti (e in particolare l’intermediazione) ai soli venditori, organizzatori di eventi o altri soggetti autorizzati all’emissione di biglietti sul mercato primario con sistemi certificati, precludendo tale attività ai prestatori di servizi della società dell’informazione che intendono operare come hosting provider ai sensi degli articoli 14 e 15 della Direttiva 2000/31/CE, in particolare laddove, come nel caso di specie, tale riserva abbia l’effetto di consentire ad un operatore dominante sul mercato primario della distribuzione di biglietti di estendere la propria dominanza sui servizi di intermediazione nel mercato secondario;
se, ai sensi della normativa europea ed in specie della direttiva 2000/31/CE, la nozione di hosting provider passivo sia utilizzabile solo in assenza di qualsiasi attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti pubblicati degli utenti, intesi come indici esemplificativi e che non debbono essere tutti compresenti in quanto da ritenersi ex se significativi di una gestione imprenditoriale del servizio e/o dell’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione, o se sia rimesso al giudice del rinvio l’apprezzamento della rilevanza delle predette circostanze in modo che, pur nella ricorrenza di una o più di esse, sia possibile ritenere prevalente la neutralità del servizio che conduce alla qualificazione di hosting provider
A Bruxelles si tornerà dunque a ragionare sulla nozione di hosting provider e lo si farà nell’ambito di una vicenda che coinvolge molteplici e rilevanti tematiche.
Da un punto di vista strettamente concorrenziale, la tutela del consumatore assurge al rango di interesse pubblico e contribuisce a informare la ratio delle disposizioni interessate dalla pronuncia. Ciò rende il sistema in grado quantomeno di assicurare la tracciabilità delle transazioni e il livello di prezzo. Ne risente certamente la sua concorrenzialità, è ammissibile? Parola alla CGUE.
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