Le difficoltà tecniche come impedimenti “talvolta” sufficienti per la rimessione in termini [Cass., 13 ottobre 2022, n. 29919]

di Mariangela Ferrari

Cassazione civile sez. I – 13/10/2022, n. 29919

 

In tema di processo programmato da remoto, la parte che non si sia potuta collegare al link della piattaforma team appositamente trasmesso dall’ufficio giudiziario ai fini della celebrazione dell’udienza a distanza ha l’onere di segnalare tempestivamente la sussistenza dei problemi tecnici impeditivi della connessione anche al fine di ottenere la rimessione in termini; ai fini della rimessione in termini, bisogna tener conto anche dei tempi tecnici ordinariamente occorrenti al difensore per la pertinente iniziativa dopo gli eventuali contatti avuti con la cancelleria, attesa la preminente necessità di salvaguardare il principio del contraddittorio e il diritto di difesa di colui che adduca, con una certa immediatezza, di non aver potuto prendere parte all’udienza.

 

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Di recente la giurisprudenza ha stabilito che il legale che adduca di non aver potuto partecipare all’udienza per il mancato funzionamento del link alla piattaforma Teams all’uopo trasmesso dall’Ufficio giudiziario, può essere rimesso in termini qualora abbia ottemperato all’onere di segnalare tempestivamente la sussistenza di problemi tecnici impeditivi della connessione alla Cancelleria, al fine di difendere il principio del contraddittorio e il diritto di difesa della parte rappresentata dal legale risultato assente dalla discussione.

La vicenda riguarda un processo programmato da remoto per l’udienza di discussione avanti l’Autorità competente al fine di sottoporre le proprie e le altrui dichiarazioni alla dialettica del contraddittorio circa alcuni delicati aspetti riguardanti la figlia minore delle parti contendenti; la procedura indica tale udienza quale ultimo momento utile per avanzare eventuali istanze istruttorie in un procedimento che, sebbene caratterizzato da una certa speditezza, ha quale principale obiettivo la tutela del minore.

Nello specifico il legale lamentava di aver tentato di collegarsi al link e, non essendovi riuscito, di aver prima cercato di segnalare il malfunzionamento alla Cancelleria senza successo e quindi, trascorsa circa un’ora dall’orario fissato per l’udienza, di aver inviato una PEC alla Cancelleria del magistrato, che nel mentre comunicava l’avvenuta discussione, in cui, descritto l’accaduto, chiedeva di ricevere copia del verbale e di essere autorizzata a depositare note conclusive nel termine che il giudice avrebbe voluto assegnare. In sostanza una richiesta di rimessione in termini per la decadenza incolpevole da un termine perentorio.

La richiesta, allegata agli atti, era rimasta inevasa.

La Cassazione segnalata afferma che “La mancata risposta alla doglianza di mancato accesso al contraddittorio, segnalata in tempi brevi e con immediatezza, si è certamente tradotta in una lesione del diritto di difesa non essendo stato consentito al difensore la possibilità di inoltrare note scritte come richiesto”.

Nella sentenza non viene mai citata la norma di riferimento sulla improrogabilità dei termini perentori di cui all’art. 153 c.p.c., con l’eccezione della rimessione in termini in caso di decadenze per cause non imputabili ([1]), che la Suprema Corte dimostra di applicare correttamente, considerando l’impossibilità tecnica di collegamento alla piattaforma Teams, tempestivamente e ufficialmente segnalata agli uffici della Cancelleria, quale causa non imputabile alla parte, cui va riconosciuto il diritto alla rimessione in termini per i soli incombenti dell’udienza disertata.

In via di principio un orientamento relativamente uniforme della Cassazione aveva considerato il rimedio della rimessione in termini fondato, allorquando l’errore o l’impedimento in cui fosse incorsa la parte, e che avessero cagionato la decadenza, non le fossero affatto imputabili, perché frutto di un fatto impeditivo, del tutto estraneo alla sua volontà, che presentasse il carattere dell’assolutezza e non della mera difficoltà, in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza ([2]); ma i precedenti trattati non avevano generalmente fatto riferimento ad impedimenti tecnici/tecnologici, conseguenze dell’introduzione della tecnologia nella gestione del diritto e soprattutto del processo telematico.

Successivamente, di recente, le ipotesi delineanti un fatto impeditivo del tutto estraneo alla volontà della parte coinvolta, hanno assunto caratteristiche diverse; la pronuncia in epigrafe va segnalata a fronte di un orientamento giurisprudenziale maggiormente variegato e multiforme circa le interpretazioni che riconoscono soltanto ad alcuni fra gli impedimenti tecnici possibili a verificarsi la natura di causa non imputabile, idonea ad ottenere una rimessione in termini.

Ciò che resta comune è una lettura restrittiva della normativa sulla rimessione in termini.

A riprova di quanto affermato se da un lato un “problema del gestore dei servizi telematici”, confermato dalla Cancelleria della Corte, che ha impedito il perfezionamento di un deposito telematico, cui è seguito un nuovo deposito, è stato riconosciuto quale causa non imputabile alla parte e quindi idoneo alla concessione di una rimessione in termini (così Cass., 23 agosto 2022, n. 25177) ([3]), non hanno avuto ugual sorte le circostanze di notificazione e/o ricezione di notificazione a mezzo PEC finite nella cartella spam della casella PEC del destinatario, che non possono essere invocate come ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore ai fini della dimostrazione della mancata tempestiva conoscenza dell’atto che legittimi un’azione giudiziaria altrimenti preclusa da decadenza del termine ([4]).

Anche nel merito, di recente, la giurisprudenza (Trib. Palermo, 2 febbraio 2022, n. 460) ha ribadito come l’istituto della rimessione in termini “è di stretta interpretazione, in considerazione delle conseguenze che un uso improprio della rimessione in termini potrebbe determinare sul piano della imperatività e della stessa vigenza della legge, il quale inerisce alle attribuzioni proprie del (e riservate al) legislatore (così fra le altre Cass. Sez. Un. n. 4135/2019)”; così pare in un certo senso assodato che “Alla nozione di causa non imputabile è estraneo il dedotto malfunzionamento della casella elettronica di posta certificata, poiché l’erronea classificazione della comunicazione della Cancelleria nella casella della posta indesiderata è un evento di per sé non imprevedibile (poiché di non isolata verificazione) e immediatamente rientrante nella sfera di dominio dell’interessato (ovvero la sua sfera di organizzazione professionale) sicché l’istante avrebbe potuto evitare di incorrere nella suddetta decadenza usando l’ordinaria diligenza”.

La selezione fra i possibili problemi tecnico-informatici che possano ritenersi di assoluta imprevedibilità e straordinarietà, tali da rappresentare un’idonea causa non imputabile alla parte, è del tutto aperta.

[1] ) La norma recita: “I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti.

La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma”.

[2] ) In questo senso si vedano Cass., 6 luglio 2018, n. 17729, relativa alla chiusura degli uffici nell’ultimo giorno utile al deposito di un atto ritenuta non impeditiva; necessario doveva essere informarsi degli orari degli uffici nella settimana di Pasqua; Cass., 27 ottobre 2015, n. 21794, aveva negato il configurarsi di una causa non imputabile “quando la parte stessa, dovendo integrare una delibera di ammissione al gratuito patrocinio erroneamente emessa da un consiglio dell’ordine degli avvocati incompetente, non abbia per tale ragione provveduto alla iscrizione al ruolo di una causa di appello nel termine di legge, trattandosi di una scelta della parte medesima, che avrebbe potuto pagare il contributo unificato e ricorrere solo successivamente all’assistenza tramite il patrocinio a spese dello Stato”; Cass., 4 aprile 2013, n. 8216 “Nel caso di specie, è stata negata la possibilità di rimettere in termini la parte che abbia avuto notizia del deposito della sentenza dopo appena due mesi dalla sua pubblicazione, non essendosi attribuito rilievo alla circostanza che la stessa fosse stata costretta ad attendere molti mesi per recuperare la documentazione dal difensore che l’aveva assistita nel giudizio di primo grado, il quale subordinava la consegna al pagamento di esosi compensi, esulando tale evenienza da quella idonea a giustificare la rimessione in termini”; tutte in www.iusexplorer.it.

[3] ) Nel merito di contrario avviso App. Lecce, 7 luglio 2021, n. 811, in cui la Corte afferma che: “In materia di deposito telematico degli atti, è a carico al depositante l’onere di calibrare i tempi della spedizione in modo tale da potersi accorgere tempestivamente che l’atto sia stato accettato ovvero che sia stato rifiutato dalla cancelleria, e – in quest’ultimo caso rimediare, depositando nuovamente nei termini; è raro, infatti, ma possibile che il documento informatico inviato dalla parte possa presentare dei danni che lo rendano illeggibile dai sistemi ministeriali per cui, ove ciò accada, non si configura una ipotesi di causa non imputabile alla parte, bensì il dovere in capo a quest’ultima di ridepositare, in termini, un atto che sia leggibile”.

[4] ) Così Cass., 23 giugno 2021, n. 17968, in cui la S.C. ha argomentato in forza “dell’art. 20 del d.m. n. 44 del 2011 (regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi di cui al d.lgs. n. 82 del 2005), nel disciplinare i requisiti della casella PEC del soggetto abilitato esterno, impone una serie di obblighi – tra cui quello di dotare il terminale informatico di software idoneo a verificare l’assenza di virus informatici nei messaggi in arrivo e in partenza, nonché di software antispam idoneo a prevenire la trasmissione di messaggi indesiderati – finalizzati a garantire il corretto funzionamento della casella di posta elettronica certificata, il cui esatto adempimento consente di isolare i messaggi sospetti ovvero di eseguire la scansione manuale dei relativi files, sicché deve escludersi l’impossibilità di adottare un comportamento alternativo a quello della mera ed immediata eliminazione del messaggio PEC nel cestino, una volta che esso sia stato classificato dal computer come spam”.