La validità della cartella di pagamento notificata via PEC in assenza di firma digitale: una valutazione superficiale? [Cassazione Civile, Sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 3940]
di Mirea Bovone -
In tema di notifica a mezzo PEC della copia informatica di originale analogico della cartella di pagamento, la Suprema Corte si mostra ormai costante nel ritenere non necessaria la sottoscrizione con firma digitale, ai fini della validità dell’atto.
Con l’ordinanza in oggetto, la Corte riprende un indirizzo interpretativo che considera la cartella «inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterla», a prescindere da qualsivoglia vizio formale, che sarebbe, in ogni caso, sanabile in ossequio al principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento riferibile al ruolo, ex art. 21-octies della L. n. 241/1990.
Detta soluzione richiede, tuttavia, ulteriori riflessioni, alla luce della disciplina applicabile ai documenti informatici contenuta nel Codice dell’Amministrazione digitale. L’art. 20 ivi citato attribuisce alla firma digitale la funzione di assicurare «in maniera manifesta e univoca» la riconducibilità del documento all’autore, nonché le attribuisce il ruolo di garante della «sicurezza, integrità ed immodificabilità del documento». Dalla norma si evince chiaramente come il documento informatico soddisfi il requisito della forma scritta solo in presenza di firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata o avanzata. A ciò si aggiunge che, ai sensi dell’art. 22 del CAD, la copia informatica assume lo stesso valore dell’originale analogico solo in quanto la conformità risulti attestata da un pubblico ufficiale o non espressamente disconosciuta.
Alla luce, pertanto, del mutato contesto normativo, che ha predisposto delle cautele specifiche a tutela dell’integrità e autenticità delle informazioni contenute nel documento informatico, si auspica una rimeditazione dell’orientamento seguito dalla Cassazione nell’Ordinanza in commento.
***
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13109-2018 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
OMNIASERVICE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, M.G., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Elisa BARONE, presso il cui studio legale, sito in Como, alla piazza A. Volta, n. 56, è elettivamente domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 85/02/2019 della Commissione tributaria regionale della BASILICATA, depositata il 15/02/2019;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Lucio LUCIOTTI nella camera di consiglio non partecipata del 24/11/2020.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte:
costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.
L’Agenzia delle entrate – Riscossione ricorre per cassazione con due motivi, cui replica l’intimata con controricorso e memoria, avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la CTR della Basilicata rigettava l’appello dell’agente della riscossione ed annullava l’intimazione di pagamento emessa nei confronti della M. Omniaservice s.r.l. con riferimento ad alcune cartelle di pagamento notificate a mezzo pec, che la predetta società contribuente aveva omesso di pagare.
Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, e art. 26, comma 2, del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 82, comma 6, censurando la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto invalida la notifica dell’intimazione di pagamento in quanto effettuata a mezzo pec. Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, censurando la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto nulla la notifica dell’intimazione di pagamento in quanto il documento inviato a mezzo pec era privo di firma autografa.
Il primo motivo, diversamente dalla proposta del relatore, è inammissibile sia perchè la difesa erariale fa riferimento nel motivo a cartelle di pagamento che nulla hanno a che vedere con il presente giudizio, non ricomprese neppure nell’intimazione di pagamento impugnata, sia perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che mai ha affermato l’inammissibilità della notificazione a mezzo pec dell’intimazione ad adempiere.
Il secondo motivo è invece fondato e va accolto.
Al riguardo questa Corte ha affermato il principio secondo cui “In caso di notifica a mezzo PEC, la copia su supporto informatico della cartella di pagamento, in origine cartacea”, ma è lo stesso per l’intimazione ad adempiere, “non deve necessariamente essere sottoscritta con firma digitale, in assenza di prescrizioni normative di segno diverso” (Cass. n. 30948 del 2019) Ha precisato questa Corte nell’ordinanza n. 6417 del 2019 che “l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento”, o dell’intimazione ad adempiere, “da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli”, al pari dell’intimazione ad adempiere, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 50, comma 3, “deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (Cass. 5 dicembre 2014 n. 25773): tale principio è stato ribadito da questa Corte la quale ha affermato che in tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicchè non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni. D’altronde, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27561)”.
La sentenza che a tali principi non si è attenuta va pertanto cassata in accoglimento del secondo motivo di ricorso e la causa rinviata alla competente CTR per esame delle questioni rimaste assorbite e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021
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