La tutela dell’”alias”

di Sabrina Salmeri

 

Sebbene il tema della transizione di genere sia ampiamente dibattuto da anni esso trova riconoscimenti sporadici soprattutto nel settore scolastico. È necessario dunque riflettere se questa previsione possa essere compatibile e trasponibile in contesti differenti, considerata la particolare sensibilità delle informazioni da trattare.

Il caso

Lo spunto di riflessione di questo articolo muove da una recente vicenda, verificatasi in un noto liceo di Roma, nel quale uno studente transgender si è visto contestare dal professore il compito in classe perché firmato con un nome differente da quello presente sulla sua carta d’identità, nonostante lo stesso avesse già attivato d’intesa con l’istituto la procedura della carriera alias.

Il ragazzo, assistito dalla famiglia e dai servizi pubblici che si occupano di disforia di genere, oltre il danno morale e psicologico, ha subito inoltre una lesione dei diritti espressamente riconosciuti dal regolamento in atto all’interno dell’istituto scolastico, che però il docente ha espressamente dichiarato di non voler riconoscere.

Che cos’è la carriera alias

Al fine di garantire a tutti gli individui in transizione di genere la possibilità di vivere in un ambiente sereno, improntato al rispetto della privacy e della dignità individuale, e idoneo a favorire i rapporti interpersonali basati sul rispetto delle libertà e dell’inviolabilità della persona, molte università e scuole secondarie si sono attivate per garantire una corretta gestione dell’identità alias mediante la predisposizione di appositi regolamenti interni.

L’alias, all’interno del contesto scolastico, è un profilo burocratico temporaneo, ma non aggiuntivo, che sostituisce il nome anagrafico dell’individuo attribuito alla nascita in base al sesso biologico e risultante dai documenti ufficiali, con quello che la persona transgender ha deciso di attribuirsi. In molti istituti tale procedura è attivabile non solo dagli studenti, ma anche dai docenti e dal personale dipendente.

È bene specificare che l’identità alias costituisce esclusivamente uno strumento di fruizione dei servizi erogati nel pieno rispetto della propria identità riconosciuta come tale: non ha valore legale fino a successiva e ufficiale rettifica anagrafica ottenuta mediante sentenza passata in giudicato da parte del Tribunale preposto, che si renderà in ogni caso necessaria al termine del lungo procedimento di transizione di genere.

Il riconoscimento legislativo del cambio di genere e la sua tutela nel GDPR

Il trattamento dell’alias rappresenta un importante punto di svolta, all’interno di un quadro giuridico di per sé scarno. In Italia, infatti, si dovrà attendere il 1982 con la legge 164, per garantire ufficialmente alle persone transgender la possibilità di cambiare sesso e nome, ma solo dopo l’intervento chirurgico che ne definisce . Un passo in avanti si avrà con l’art. 31 del D.lgs. 150/2011, con il quale l’intervento chirurgico non costituirà più conditio sine qua non per il cambio del nome, ma sarà apportato soltanto quando strettamente necessario.

Nel 2015 due importanti sentenze si occupano dell’identità di genere.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15138/2015 statuisce che l’attuale sistema normativo non osta alla rettificazione dei dati anagrafici del richiedente, anche in assenza del preventivo trattamento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali primari al genere diverso da quello enunciato nell’atto di nascita. Con la sentenza n. 221/2015, dando un’interpretazione della L. n. 163/1982, la Corte Costituzionale ribadisce che “il trattamento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali primari non costituisce prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma è solo un possibile mezzo, rimesso alla scelta del soggetto che chiede la rettificazione, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico”.

Il Regolamento UE 2016/679 considera le informazioni relative all’identità di genere tra le “categorie particolari di dati”: ciò significa che tali informazioni possono costituire oggetto di trattamento solo alle condizioni previste dal par. 2 dell’art. 9 del GDPR. È opportuno quindi che anche i sistemi informatici delle organizzazioni che gestiscono tali tipologie di dati siano predisposti correttamente: il nome scelto dal richiedente dovrà essere l’unico visibile all’interno dei sistemi aziendali in quanto risulterà come l’unico nome da utilizzare negli atti interni.

Considerazioni finali

La necessità di una maggiore inclusione delle persone transgender o intersessuali è diventata gradualmente più sentita negli ultimi anni, non solo nel settore dell’Education, ma anche nel mondo del lavoro.

Nonostante il percorso di trasformazione dell’identità personale sia intrinsecamente privato, ad un certo punto diventa necessariamente noto ai colleghi di lavoro per la natura stessa della “transizione”. Pertanto, anche le organizzazioni devono essere pronte a fronteggiare un’ipotesi del genere, attivando un procedimento analogo a quello già realizzato, ad esempio, nelle università. Tale procedimento comporterebbe la preventiva stipula e sottoscrizione di un accordo confidenziale con l’organizzazione e il successivo rilascio dell’identità alias provvisoria con l’attribuzione al dipendente richiedente di un proprio fascicolo personale, di un proprio badge, di credenziali di posta elettronica con il nome “elettivo”. Tutta la documentazione e i provvedimenti del dipendente in transizione di genere che invece hanno rilevanza strettamente personale (come ad esempio la busta paga, i sistemi di rilevazione delle presenze) non si conformano all’identità alias, continuando ad utilizzare i dati anagrafici originali del dipendente.

In Italia è da segnalare la Circolare del 9 settembre scorso del Ministero della Giustizia che contiene disposizioni che disciplinano l’attivazione e la gestione di una identità alias per i dipendenti dell’Amministrazione giudiziaria.

È infine da rilevare come il tema in oggetto sia stato incluso nel nuovo CCNL, siglato lo scorso 2 novembre, relativo al comparto sanità che all’art. 41 prevede il riconoscimento un’identità alias al dipendente che ne faccia richiesta tramite la sottoscrizione di un accordo di riservatezza confidenziale.