Invii ripetuti su whatsapp e reato di molestie [Cassazione penale, Sez. I, sentenza 20 settembre 2022, n. 34821]
di Annalisa Benevento
Corte di Cassazione sez. I penale ud. 24 maggio 2022 (dep. 20 settembre 2022), n. 34821
Presidente Siani – Relatore Mele
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 18 novembre 2020, il Tribunale di Teramo ha ritenuto D.F. responsabile del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 660 c.p. condannandolo alla pena di Euro 300,00 di ammenda per aver recato molestia a P.M. per petulanza ovvero altro biasimevole motivo, inviandole messaggi telefonici, contattando persone a lei vicine affinché facessero da tramite per convincere la suddetta a riprendere la relazione sentimentale cessata, ovvero adottando condotte tali da tediare la vittima.
2. Avverso tale sentenza il difensore del D. ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di censura.
Con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e lett. e), l’erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà della motivazione. In particolare, si assume che il Tribunale avrebbe erroneamente affermato la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 660 c.p. e travisato le prove, ritenendo irrilevante la circostanza che la condotta dell’imputato si collocava nella fase di cessazione della relazione sentimentale intercorsa con la persona offesa, fase caratterizzata dalla reciprocità dei messaggi, ammessa dalla stessa P., e privi di contenuto lesivo. La difesa sostiene, inoltre, che tutti i messaggi cui fa riferimento la sentenza impugnata, erano stati inviati tramite WhatsApp, sicché la loro ricezione poteva essere bloccata dal destinatario, escludendosi in tal modo la possibilità di recare molestia o disturbo. Lo stesso D. aveva invitato la persona offesa, se non avesse voluto ricevere i suoi messaggi, a bloccarli, cosa che la P., fino al 25 settembre 2017 non aveva fatto. Ciò doveva ritenersi sintomo del fatto che l’imputato non intendeva turbare la sfera di libertà della ragazza. Il giudicante, inoltre, non avrebbe considerato che il 14 ottobre 2017 era stata la P. ad inoltrare, nel cuore della notte, un messaggio al D., il quale aveva richiesto alla terapeuta della ragazza di intercedere presso di lei per interrompere tale comportamento. Viene, infine, denunciata l’inconciliabilità delle argomentazioni giustificative addotte a sostegno della decisione con le risultanze probatorie in relazione all’episodio dello scontro avvenuto il 17 novembre 2017 presso l’abitazione dell’imputato ove la p.o. si era recata per affrontarlo, ritenendo che il rifiuto del D. di allontanarsi fosse prova del suo atteggiamento molesto e petulante.
Con il secondo motivo si lamenta la erronea valutazione delle risultanze probatorie ex art. 606, lett. b) c.p.p. Il Tribunale avrebbe stravolto le risultanze di dibattimentali in quanto dai messaggi acquisiti durante l’istruttoria risulterebbe smentita l’affermazione per cui il D. avrebbe richiesto con un messaggio con tono imperioso un incontro alla d.ssa D.V., con la quale piuttosto vi era una certa confidenza che gli permetteva di rivolgersi alla stessa in caso di difficoltà nei rapporti con la persona offesa. Sarebbe stato altresì smentito dalle dichiarazioni testimoniali l’assunto secondo cui le condotte moleste sarebbero state reiterate quantomeno nell’arco di tre mesi.
Considerato in diritto
1. I motivi sono manifestamente infondati” e conseguentemente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo, con il quale si propone una pluralità di censure sotto il profilo della violazione della norma incriminatrice e del vizio motivazionale, è inammissibile.
2.1. Occorre innanzitutto considerare che con l’art. 660 c.p. il legislatore ha inteso tutelare la tranquillità pubblica per l’incidenza che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico, data l’astratta possibilità di reazione. L’interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa e la tutela penale è accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate o disturbate, dal momento che ciò che viene in rilievo è la tutela della tranquillità pubblica per i potenziali riflessi sull’ordine pubblico di quei comportamenti idonei a suscitare nel destinatario reazioni violente o moti di ribellione.
L’elemento materiale della molestia è costituito dall’interferenza non accettata che altera fastidiosamente o in modo inopportuno, immediato o mediato, lo stato psichico di una persona (Sez. 1, n. 19718 del 24/03/2005) e l’atto per essere molesto deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma deve essere anche ispirato da biasimevole, ossia riprovevole motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire nella sfera privata di altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente e invadente (Sez. 1, Sentenza n. 6064 del 06/12/2017, dep. 08/02/2018, Rv. 272397 – 01).
Questa Corte ha inoltre affermato che iil reato di molestia non ha natura necessariamente abituale e richiede necessariamente una reiterazione di comportamenti intrusivi e sgraditi nella vita altrui, sicché può essere realizzato anche con una sola azione purché particolarmente sintomatica dei motivi specifici che l’hanno ispirata.
L’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto (Sez. 1, n. 50381 cel 07/06/2018, Rv. 274537 – 01; Sez. 1, n. 33267 del 11/06/2013, Rv. 256992.
Con riferimento all’intento della condotta costituito da biasimevole motivo, è sufficiente anche il compimento di un unico gesto, come nel caso di una sola telefonata effettuata con modalità rivelatrici dell’intrusione nella sfera privata del destinatario (Sez. 1, n. 3758 del 07/11/2013, Rv. 258260; Sez. 6, n. 43439 del 23/11/2010, Rv. 248982; Sez. 1, n. 11514 del 16/03/2010, Rv. 246792).
Quanto alla possibilità che il reato sia integrato mediante l’invio di sms e messaggi WhatsApp, secondo quanto condivisibilmente affermato di recente da questa Corte, ciò che rileva ai fini della sussistenza del reato in parola “è il carattere invasivo della comunicazione non vocale, rappresentato dalla percezione immediata da parte del destinatario dell’avvertimento acustico che indica l’arrivo del messaggio, ma anche -va soggiunto- dalla percezione immediata e diretta dè suo contenuto o di parte di esso, attraverso l’anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco“, realizzandosi in tal modo in concreto una diretta e immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente (Sez. 1, n. 37974 del 18/03/2021, Rv. 282045 – 01).
Si è altresì ritenuto che il carattere invasivo della messaggistica telematica non può essere escluso per il fatto che il destinatario di messaggi non desiderati, inviati da un determinato utente (sgradito), possa evitarne agevolmente la ricezione, senza compromettere in alcun modo la propria libertà di comunicazione, semplicemente escludendo o bloccando il contatto indesiderato (in tal senso, Sez. 1, n. 24670 del 07/06/2012, Cappuccio, Rv. 253339).
In realtà, tenuto conto che il reato di cui all’art. 660 c.p. mira a tutelare, non già la libertà di comunicazione del destinatario dell’atto molesto, ma a prevenire il turbamento della tranquillità pubblica, e considerato altresì che anche le telefonate sgradite, persino su apparato fisso, possono attualmente essere “bloccate” attraverso la apposita funzionalità, ciò che rileva ai fini della sussistenza del reato in parola, “è l’invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest’ultimo di interrompere l’azione perturbatrice, già subita e avvertita come tale, ovvero di prevenirne la reiterazione, escludendo il contatto o l’utenza sgradita senza nocumento della propria libertà di comunicazione” (Sez. 1, n. 37974 del 18/03/2021, cit.).
2.2 II Tribunale di Teramo ha fatto corretta applicazione di tali principi. Ha infatti ritenuto, con motivazione complessivamente adeguata e coerente con le risultanze probatorie, che la pluralità delle condotte poste in essere dal D. , e consistite – tra l’altro – in ripetuti messaggi WhatsApp, in telefonate, appostamenti, nell’aver inserito sul suo account di WhatsApp l’immagine del luogo ove la persona offesa aveva subito violenza in età adolescenziale, pur se collocate nella fase di rottura della relazione sentimentale con la P. , costituivano un modo per introdursi in maniera arbitraria nella sua sfera di libertà, turbandone la serenità.
2.3. Quanto al profilo di censura concernente il vizio di motivazione, occorre osservare che la difesa ha di fatto sollecitato una inammissibile rilettura delle prove acquisite in dibattimento, in contrasto con il diritto vivente. È infatti preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747 – 01; Sez.3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, Rv. 271702-01). Sono pertanto inammissibili le censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Cass., sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, Rv, 270801 – 01; sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Il Tribunale ha puntualmente analizzato le risultanze dell’istruttoria dibattimentale ed ha delineato, con motivazione accurata e persuasiva, la ricorrenza di un quadro probatorio a carico del D. del tutto univoco e convergente, tenuto conto delle dichiarazioni rese dalla parte offesa, che aveva descritto i ripetuti messaggi telefonici di contenuto offensivo, anche collegati alla foto profilo inserita dal D. sul proprio account, la ripetuta frequentazione dei medesimi luoghi ove essa si recava, tali da gettarla in uno stato di ansia e confusione. Il giudice ha altresì dato conto della circostanza che tali affermazioni aveva trovato sostanziale conferma nelle dichiarazioni dagli altri testi sentiti nel dibattimento. Le osservazioni della difesa, la quale rileva che le condotte si inserivano in un momento di crisi della relazione affettiva e che i messaggi erano stati reciproci, non evidenziano effettive forme di contraddittorietà, illogicità della motivazione nel ricostruire gli elementi indicativi della responsabilità del D. per il fatto oggetto di imputazione.
Tali le argomentazioni, piuttosto, si risolvono nella proposta di una inammissibile valutazione alternativa delle emergenze processuali.
2.4. Neppure è ravvisabile il denunciato travisamento della prova il quale, oltre a dover essere desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, ricorre solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758-01).
Nella specie, l’asserita mancata considerazione, da parte del giudice di primo grado, della circostanza che le condotte contestate si inserivano nella delicata fase di crisi della relazione sentimentale intercorsa tra il D. e la P., oltre a non corrispondere al vero, avendo la sentenza dato conto del contesto in cui sono intervenuti i comportamenti dell’imputato, non è in alcun modo tale da compromettere la tenuta della motivazione nella quale si dà adeguatamente conto del carattere molesto delle suddette condotte alla luce delle reazioni della persona offesa quali descritte dai testi, oltre che risultanti dalle dichiarazioni della medesima.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
Anche con tale motivo si denuncia l’erronea valutazior e delle risultanze probatorie, la contraddittorietà e illogicità della motivazione, sicché valgono al riguardo le medesime considerazioni sopra svolte. In particolare, la asserita contraddittorietà della motivazione non è denunciabile in questa sede non attenendo ad espetti essenziali tali da imporre una diversa conclusione de processo. Così, la circostanza, richiamata dalla difesa, che la persona offesa e i suoi genitori abbiano affermato che la situazione era degenerata ai primi di novembre non contraddice affatto la conclusione cui è pervenuto il Tribunale secondo il quale,e condotte moleste erano state reiterate da agosto a novembre 2017, limitandosi ad affermare che esse erano peggiorate, senza perciò escludere che sussistessero anche prima di tale momento. Allo stesso modo, il richiamo ai rapporti tra il D. e la d.ssa D.V., ex psicoterapeuta della P., che ad avviso della difesa sono stati ricostruiti dal giudice di primo grado in modo non corrispondente alle risultanze dibattimentali, attengono ad aspetti non essenziali ai fini della sussistenza del reato contestato.
In ogni caso, ancora una volta, con tali censure, la difesa sollecita una non consentita rivalutazione, da parte di questa Corte, delle risultanze istruttorie, essendo precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente ccme maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 – 01).
4. All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro tremila Euro.
5. In caso di diffusione del presente provvedimento di devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52, in quanto imposto dalla legge, in relazione alla natura del reato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n.196 del 2003 art. 52 in quanto imposto dalla legge.
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