Banca Dati Pubblica Sentenze di Merito: illegittimo l’oscuramento massivo dei dati personali [TAR Lazio – Roma, 17.4.25, n. 7625]
di Cesare C.M. Del Moro e Elisabetta Bonato
Il TAR ha riaffermato il principio di pubblicità delle decisioni giudiziarie a tutela della diffusione della cultura giuridica e del diritto di difesa, stabilendo che la pseudonimizzazione delle sentenze è illegittima se non prevista dalla legge o disposta dall’Autorità Giudiziaria.
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Con Sentenza n. 7625/2025 dello scorso 17 aprile il TAR Lazio – Roma, si è pronunciato contro il Ministero della Giustizia, in favore dei ricorrenti, in rappresentanza di un noto portale , oltre che degli intervenuti ad adiuvandum, un’associazione di giuristi specializzati nel diritto d’impresa, numerosi professori universitari e l’Ordine degli Avvocati di Milano.
L’oggetto del contendere era il diritto dei consociati, e in particolare degli avvocati per la funzione pubblica e sociale loro affidata dall’ordinamento, di accedere alla Sentenze di Merito nella loro versione integrale, senza previa pseudonimizzazione delle stesse ad opera del Ministero della Giustizia. In particolare, i ricorrenti chiedevano l’annullamento del provvedimento del Ministero del 1° dicembre 2023 con il quale venivano “deprecati” i servizi di accesso in consultazione all’”Archivio Giurisprudenziale Nazionale” (a.g.n.) e della decisione di procedere alla costituzione di due diverse banche dati, con oscuramento dei dati nei provvedimenti accessibili agli avvocati.
La decisione del TAR Lazio accoglie i motivi fondativi del ricorso e annulla il provvedimento impugnato sostenendo, in ultima analisi, che l’oscuramento dei dati personali non può venire stabilito discrezionalmente dall’ente gestore di una banca dati, essendo invece rimesso alla legge e all’autorità giudiziaria.
Infatti, come noto, il legislatore italiano stabilisce che le sentenze sono pubbliche ex art. 133 c.p.c. (e implicitamente anche ex art. 111 Cost.) e pubblicabili, principalmente per finalità di diffusione e accessibilità al pubblico, nei limiti di quanto previsto dagli artt. 51 e 52 del Codice Privacy.
La sentenza in esame ricostruisce in prima battuta i mutamenti che è stato possibile osservare negli anni in relazione alle modalità di accesso delle Sentenze di Merito.
Già nel marzo 2018 il Ministero della Giustizia aveva annunciato la sospensione del servizio di accesso all’a.g.n. sine die, al fine di apportare alcuni interventi migliorativi. Nel silenzio dell’Amministrazione veniva proposto ricorso al T.A.R. Lazio e, a seguito della fase cautelare, il servizio veniva ripristinato.
Successivamente, nel dicembre 2023, l’a.g.n. veniva sostituita, nell’ambito dei progetti finanziati dal PNRR, da due distinte banche dati: la Banca Dati Riservata (BDR), accessibile ai soli magistrati, e la Banca Dati Pubblica (BDP), accessibile a chiunque previa autenticazione SPID/CIE/CNS.
Quanto allo svolgimento del contenzioso in esame, venivano proposti tre motivi ricorso.
In relazione al breve lasso di tempo, 15 giorni, trascorso tra l’interruzione del servizio a.g.n. e l’attivazione delle due nuove banche dati e al non tempestivo aggiornamento delle nuove banche dati (asseritamente anche oltre i 60 giorni), il TAR respingeva il motivo in quanto in sostanza circostanza irrilevante ai fini dell’efficienza, imparzialità e economicità dell’azione amministrativa e comunque scusabile nella fase di rodaggio del progetto di innovazione tecnologica ministeriale. In relazione, invece, alla richiesta di accesso alle sentenze penali introdotta dai ricorrenti, questa veniva respinta perché volta ad ottenere una misura mai concessa prima, quindi estranea ai provvedimenti impugnati, e perché non utile alla posizione soggettiva del ricorrente (Giurisprudenza delle imprese, che raccoglie sentenze solo in ambito civile), mentre le doglianze relative alle più complesse modalità di accesso (necessità di accedere tramite sistema di autenticazione SPID, CIE, CNS) rispetto a quelle previste per la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione o della Giustizia Amministrativa venivano rigettate, perché giustificate, nell’ampia discrezionalità amministrativa concessa al Ministero, dalla maggior ampiezza dei dati contenuti e dalle differenti modalità di consultazione, ricerca ed estrazione.
Il terzo motivo, invece, trovava accoglimento.
Il TAR afferma che “appare illegittimo l’oscuramento tout court di tutti i dati personali contenuti delle sentenze pubblicate e rese accessibili tramite b.d.p.” e che “si ritiene comunque contrario[a] al disposto degli artt. 51 e 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, la completa anonimizzazione delle sentenze.”.
Qui il Collegio affronta il tema del delicato equilibrio tra riservatezza delle informazioni personali contenute delle sentenze, trasparenza amministrativa e condivisione del sapere, specificando che “Quanto alle modalità con cui garantire la fruizione dei contenuti della banca dati, è prescritto unicamente il rispetto della legislazione vigente: il che lascia quindi aperta la strada a varie opzioni purché funzionali al raggiungimento dello scopo per il quale si è creata la banca dati.”, per poi aggiungere che “va rilevato come la mancata pubblicazione integrale è sicuramente incidente sull’esatta intellegibilità della sentenza (…)”, in quanto “per intendere la portata di una pronuncia giurisdizionale è doverosa l’esatta definizione della vicenda fattuale: in assenza dalla comprensione di quest’ultima, infatti, il ragionamento giuridico si presenterebbe totalmente speculativo, divenendo oggetto d’interesse puramente teoretico”. La pubblicazione integrale delle sentenze assolve anche al compito di “evitare il contezioso e rendere piú rapide le decisioni” e scongiurare “lo sviluppo di un ragionamento, da parte del difensore, in realtà antitetico rispetto a quello espresso nel precedente giurisprudenziale, pregiudicando in tal guisa gli interessi dell’assistito”.
Ma è con la citazione integrale degli articoli 51 e 52 del Codice Privacy che la sentenza evidenzia l’esatto punto di equilibrio tra riservatezza e accessibilità dei dati personali, come indicato dal legislatore.
Giova in primo luogo rammentare che la normativa sulla protezione dei dati personali (GDPR e Codice Privacy) non ha la sola finalità di tutelare la riservatezza degli stessi, ma anche e ancor prima quella di dettare regole per la loro integrità e disponibilità.
Ne discende, come rappresentato dal TAR con la sentenza in esame, che “la disciplina positiva prevede, in linea generale, la pubblicazione delle pronunce rendendole accessibili a tutti mediante un sistema informativo istituzionale. È poi precisato come la diffusione (ivi compresa quindi anche la pubblicazione in una banca dati accessibile alla generalità dei cittadini) debba avvenire con oscuramento dei dati personali solamente in alcune limitate ipotesi, ossia su richiesta della parte interessata (art. 52, comma 1 d.lgs. 196/2003), oppure d’ufficio allorquando ciò risulti necessario per tutelare i diritti e la dignità dell’interessato (secondo comma). Pertanto, salvo il caso peculiare dei procedimenti coinvolgenti rapporti di famiglia, di stato delle persone ovvero minorenni (quinto comma), ove è direttamente la legge a vietare la diffusione dei dati personali, va osservato come le fattispecie regolate dall’art. 52, commi 1 e 2 d.lgs. 196/2003 rimettano all’autorità giudiziaria procedente la decisione sull’oscuramento o meno dei dati personali”.
In conclusione “va rilevato come sicuramente l’amministrazione incaricata della raccolta in una banca dati dei provvedimenti non possa sostituirsi all’autorità giudiziaria nella valutazione circa la necessità di anonimizzazione”.
In altre parole, la sentenza è di estremo interesse perché riafferma l’obbligo di rendere i dati personali disponibili laddove la legge o il giudice non impongano altrimenti.
In ultima analisi, la sentenza del TAR Lazio n. 7625/2025 ribadisce con forza la centralità del principio di pubblicità delle decisioni giudiziarie, che non può essere snaturato dal Ministero della Giustizia, riaffermando che il diritto all’accesso integrale alle Sentenze di Merito è presidio imprescindibile della trasparenza, della diffusione della cultura giuridica e del corretto esercizio della funzione difensiva: ogni limitazione a tale diritto deve trovare fondamento esclusivamente nella legge o in provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria e non nella discrezionalità dell’amministrazione.
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