Digital Forensics e principio di proporzionalità: la Cassazione detta i limiti del sequestro probatorio avente ad oggetto dispositivi informatici (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 5526/2025)

di Stefano Aterno, Monica Dassisti

Con la sentenza n. 5526 depositata l’11 febbraio 2025, la Corte di Cassazione si pronuncia nuovamente sull’utilizzo della digital forensics all’interno del processo penale, con particolare attenzione al sequestro probatorio e all’analisi dei dispositivi informatici nonché ai dati contenuti al loro interno, soprattutto relativi ai dati e alle informazioni comunicative.

Il caso in esame riguarda un sequestro probatorio di quattro telefoni cellulari operato nei confronti di uno dei soggetti indagati, cui erano stati sequestrati e duplicati integralmente diversi dispositivi digitali mediante copia forense. Per il tramite del difensore di fiducia, è stato quindi proposto ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale della libertà di Roma, con la quale quest’ultimo ha rigettato l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro probatorio di quattro smartphone nella disponibilità del ricorrente.

Tra i tre motivi di ricorso sollevati dalla difesa, assume particolare rilievo il secondo, con il quale il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 253 e 254-bis c.p.p., lamentando l’insufficienza e l’irragionevolezza della motivazione in ordine all’adeguatezza, proporzionalità e delimitazione temporale del decreto di sequestro probatorio. Tale censura si fonda sull’assunto che, con riferimento agli strumenti informatici, sussiste un onere di motivazione rafforzata, sia in merito alla pertinenzialità del materiale da acquisire, sia in relazione all’arco temporale oggetto del provvedimento.

La Suprema Corte pur ritenendo il ricorso infondato perché il decreto era specifico, ha precisato che “l’acquisizione indiscriminata di un’intera categoria di beni […] è consentita a condizione che il sequestro non assuma una valenza meramente esplorativa e il pubblico ministero adotti una motivazione che espliciti le ragioni per cui è necessario disporre un sequestro esteso e onnicomprensivo”.

Aderendo a precedenti orientamenti giurisprudenziali la Corte ha ribadito che il sequestro di dispositivi informatici e telematici, compresi gli smartphone, dev’essere guidato dal principio di proporzionalità. A tal fine, è stato sottolineato che nel decreto di sequestro emesso dal pubblico ministero deve essere illustrato:

  • il motivo per cui è essenziale effettuare un sequestro esteso e onnicomprensivo, o, in alternativa, specificamente le informazioni oggetto di ricerca;
  • il criterio (o i criteri) di selezione del materiale informatico presente all’interno del dispositivo, giustificando, altresì, l’eventuale perimetrazione temporale dei dati di interesse in termini sensibilmente difformi dal perimetro temporale dell’imputazione provvisoria;
  • il perimetro temporale entro il quale verrà effettuata tale selezione, limitando l’acquisizione ai soli dati pertinenti all’indagine in modo da minimizzare l’invasività, con conseguente restituzione anche della copia informatica dei dati non rilevanti.

Ne consegue che, anche laddove l’acquisizione del supporto fisico sia formalmente legittima, il contenuto non può essere considerato, nella sua totalità, in automatico rilevante ai fini processuali. Serve una selezione, un filtro ragionato, che eviti violazioni sistematiche dei diritti dell’indagato o, nei casi più gravi, una vera e propria compromissione della tenuta del giusto processo.

L’elemento di maggior rilievo è dato dal fatto che la Suprema Corte sembra spingere verso un modello in cui la digital forensics non sia più solo una questione tecnica, affidata a consulenti esperti, ma anche – e soprattutto – una questione giuridica e costituzionale. Il giudice, in fase di controllo, e il pubblico ministero, nella fase dell’acquisizione dei dati digitali, devono valutare e motivare in maniera accurata perché e in che modo un determinato contenuto sia pertinente rispetto al thema decidendum. Non è possibile, dunque, limitarsi a ordinare il sequestro di “tutto ciò che si trova all’interno del dispositivo”.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che il Tribunale del riesame avesse già “spiegato con argomenti logici e persuasivi la ricorrenza del nesso di pertinenzialità e le ragioni per le quali il sequestro è stato operato in presenza dei presupposti necessari e sufficienti per disporre la misura ablativa, avendo il pubblico ministero evidenziato che detta misura era mirata a ricercare i documenti informatici di interesse (foto, video, files audio, messaggistica anche criptata, ecc.) relativi al traffico di sostanze stupefacenti” rinvenuti presso l’abitazione di un altro dei soggetti indagati.

In tal senso, “né il provvedimento di sequestro presentava una finalità esplorativa o non rispettava l’esigenza di immediata estrazione della copia forense, essendo stato dato atto nell’ordinanza impugnata che le operazioni tecniche […] risultavano esaurite per tre telefoni su quattro, come risulta dai verbali di accertamenti tecnici irripetibili ex art. 360 c.p.p.”.