Il metaverso e la prospettiva del buon governo della tecnologia per costruire una society 5.0 human-centric

di Fortunato Costantino

 

Cosa è il Metaverso e cosa promette? Allo stato una definizione puntuale e consolidata di Metaverso non esiste ancora. Anzi è più facile precisare cosa il Metaverso non è e non deve essere, come ha compiutamente fatto Matthew Ball nel suo saggio The Metaverse: what it is, where to find it and who will build it, divenuto in breve il punto di riferimento delle riflessioni sul metaverso.

Non v’è dubbio però, anche solo procedendo per astrazioni concettuali e abbandonando ogni tentativo definjtorio e classificatorio, che il Metaverso è la più evoluta espressione della esperienza digitale all’interno di un ambiente media nativo che accoglie e organizza in infinite combinazioni una estrema pluralità di tecnologie e di applicazioni, tra cui la Augmented Reality, la Virtual Reality e la Mixted Reality, lo spatial computing ed il cloud computing, la simulazione cyber-fisica,la grafica 3D, i sistemi geo spazializzati, i digital twins, il commercio online, i NFT e le valute virtuali, il gaming multiplayer .

Al contempo le prospettive applicative del e nel Metaverso, sia pure in termini di suggestione futuristica e futuribile sono tali da promettere un oggettivo vantaggio in ottica di potenziamento delle abilità dell’individuo in quanto una serie potenzialmente indeterminata di attività e processi, sia gestori che decisionali, divengono digitalizzabili e programmabili unitamente alla possibilità, grazie a protocolli algoritmici standardizzati, di elaborare con capacità non umane, anzi meta-umane, una quantità innumerabile di informazioni in uno spazio fisico e temporale senza limiti e senza confini. Ma il Metaverso può essere, anche e soprattutto, il luogo in cui le applicazioni ad alta densità tecnologica sono capaci di realizzare obiettivi di inclusione, integrazione e superamento delle diseguaglianze consentendo ad esempio a lavoratori portatori di disabilità motorie, cognitive o sensoriali di potere, tramite il proprio avatar e meccanismi complessi di interazione vocale e gestuale, interagire e offrire la propria prestazione lavorativa senza alcuna limitazione infrastrutturale e di rendimento della performance.

Le potenzialità del Metaverso sono, insomma, innumerabili e non sarebbe utopico prevedere che uno degli ulteriori, prossimi possibili sviluppi sia la sua integrazione con le neuro-tecnologie di brain reading, in grado di leggere predittivamente, decodificandole, intenzioni, emozioni, asserzioni di verità dell’utente avatar con una potente interferenza di tipo cognitivo sulla coscienza e sulla identità dell’individuo fisico di cui l’avatar è una estensione virtuale.

Ciò non di meno sono molteplici e rilevanti le implicazioni etiche e sociali, oltre che giuridiche, afferenti alla tutela della sicurezza, libertà e dignità umana che potrebbero subire un vulnus rilevante dalla delega di interi processi ed attività a soluzioni tecnologiche avanzate incentrate su algoritmi complessi e sofisticati. Si tratta invero di una riflessione che la dottrina affronta ormai da decenni. Aleggia in particolare il timore che le trasformazioni tecnologiche- stante una connaturata vulnerabilità dell’essere umano rispetto al potere del digitale e delle intelligenze artificiali evolute, in grado persino di indagare e interpretare gli stati cognitivi ed emozionali dell’individuo – possano produrre non solo una asimmetrica distribuzione delle informazioni e dell’esercizio del potere che ne deriva, ma altresì determinare uno svantaggio sociale incolmabile nel rapporto tra individui sempre più esposti e trasparenti e poteri tecnologici proporzionalmente sempre più opachi e non governabili con il rischio di un utilizzo improprio della tecnologia e della IA per pratiche di manipolazione, sfruttamento e controllo sociale.

E’ una comprensibile preoccupazione che, al di fuori del perimetro di una governance appropriata, rischia di trasformare l’utente in una fonte inesauribile di dati e input operazionali sottratti alla possibilità di un suo diretto controllo dal momento che l’intelligenza artificiale partendo da un semplice dato personale può inferire ed elaborare ulteriori dati, meglio noti come big data analytics o algo created analytics, in grado di indagare capillarmente l’identità e la personalità dell’individuo  tracciandone le caratteristiche presenti e stimandone i comportamenti attesi. E a fronte di una così vasta mole di informazioni, l’utente potrà tutt’al più osservare e avere contezza degli input e degli output del processo ma non potrà in alcun modo sapere come gli uni diventano gli altri e viceversa, perché gli algoritmi svolgono un processo logico matematico di decodificazione, rielaborazione e manipolazione di dati con una velocità che la mente umana non riesce a concepire. Senza contare che i modelli algoritmici e le decisioni su di esse fondate ereditano i bias dei loro programmatori, pregiudizi del pensiero del data scientist che originariamente nascosti nei cd. dati di allenamento, sono poi trasferiti negli algoritmi di decisione che dunque potrebbero condizionare scelte ingiuste, discriminatorie o semplicemente sbagliate, all’insaputa del decisore e del soggetto della decisione.

Circostanza questa che assume maggior criticità se considerata nell’ambito sensibile dei rapporti umani e sociali virtualmente trasposti nel Metaverso, che è una dimensione costruita geneticamente e nativamente su modelli algoritmici e applicativi di IA in grado di gestire interi processi riducendo al minimo o escludendo del tutto l’azione umana. Si aggiunga poi che l’IA per funzionare necessità di una grande quantità di dati e più dati incamera ed elabora più performante sarà la sua capacità di offrire valore aggiunto all’organizzazione ed ai processi decisionali in termini di rapidità, imparzialità ed oggettività.

D’altra parte, il timore della possibilità che dalla intelligenza artificiale applicata ai rapporti umani e sociali o alle relazioni lavorative e professionali, derivino effetti sociali ed economici distorsivi, o addirittura distopici, non può impedire di assecondare il progresso tecnologico che ormai intride di sé, ed in maniera irrevocabile, ogni singolo aspetto della esperienza umana, sociale, economica, politica e più in generale culturale. Sicuramente più pragmatico è creare alleanze strategiche con la tecnologia intelligente per governare le infinite opportunità di sviluppo che essa promette purché nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona.

Ciò rende ancora più pressante, e non solo con riferimento al Metaverso, l’urgenza di costruire un modello appropriato di governance finalizzato a  presidiare obiettivi imprescindibili di trasparenza, attendibilità, conoscibilità e controllo  dei sistemi di IA anche attraverso la predisposizione di meccanismi in grado di assicurare un vaglio di meritevolezza del processo e della decisione algoritmica affidato alla sorveglianza umana, specie nell’ambito del deep learning  e brain learning cioè di quelle applicazioni di IA che più di altre sono in grado, attraverso la riproduzione di vere e proprie reti neurali artificiali (cd. simulazione neurale) di generare rapidamente apprendimenti profondi e sofisticati come se la macchina ponesse in atto una vera e propria emulazione celebrale e non semplicemente una simulazione dell’umano.

Un modello di governance la cui appropriatezza è definita anche in funzione del grado di effettività della sua capacità di gestione e controllo che non può prescindere dal riferimento ad una regolamentazione normativa che deve essere di respiro sovranazionale ma soprattutto  “intelligente e pragmatica” e quindi flessibile e incentrata sul principio della neutralità delle soluzioni tecnologiche cosi da potersi adattare alle dinamiche evolutive della materia intervenendo sulle criticità volta per volta emergenti. Altro elemento imprescindibile di una governance consapevole del Metaverso  (e più in generale della relazione Uomo-Tecnologia intelligente) è la offerta e distribuzione di conoscenza dei meccanismi essenziali di interferenza tra macchina e dimensione umana che passa attraverso la creazione e acquisizione di competenza digitale negli utenti  a fronte di precise politiche formative, ad alto valore strategico, a livello nazionale e comunitario. Il possesso di un livello adeguato di competenza digitale, infatti, contribuisce in gran misura alla effettività della stessa tutela normativa nazionale e comunitaria, perché l’attribuzione di un diritto rischia di restare una mera enunciazione di principio se il suo titolare non possiede la comprensione dei mezzi per l’esercizio di quel diritto.

E’ per concludere, e rimandando agli approfondimenti fatti in occasione della stesura del capitolo 18 (Il lavoro nel Metaverso) per il volume  il Metaverso, la suggestiva visione di un ecosistema tecnologico in cui l’Uomo stesso, con l’aiuto della forza plasmatrice del Diritto e delle buone pratiche, potrebbe scrivere una storia formidabile di dominio sulla macchina algoritmica e non di deterministica soggezione ad essa. Una prospettiva di buon governo dell’innovazione tecnologica che offre l’occasione di costruire attorno all’Uomo un mondo equo, prospero, sicuro e sostenibile, dando attuazione concreta al paradigma della società ideale del Terzo Millennio, la cosiddetta “Society 5.0 human-centric” che, attraverso la  fusione tra il cyberspazio e lo spazio fisico, sarà in grado di bilanciare il progresso economico e tecnologico con la risoluzione dei problemi sociali indipendentemente da luogo, età, sesso o lingua, per garantire che tutti i cittadini possano condurre una vita di qualità, piena di comfort e vitalità.