L’attuazione dell’imposta sui servizi digitali
Premessa La tassazione dell’economia digitale è un’esigenza impellente delle politiche fiscali internazionali. Le multinazionali del web traggono da tempo vantaggio dall’impotenza dei sistemi impositivi tradizionali di recuperare a tassazione attività economiche smaterializzate, prive di stabili organizzazioni o di qualsivoglia mezzo personale/materiale, utile a stabilire un collegamento territoriale con gli Stati. Del contrasto alle pratiche elusive operate dai grandi ‘colossi’ del web l’Unione ha fatto una missione. Il 21 marzo 2018 è stata presentata una proposta di direttiva della Commissione UE[1] volta ad adeguare le discipline fiscali europee ai nuovi modelli imprenditoriali dell’economia digitale. I lavori della Commissione, arrestatisi nel 2019, sono stati successivamente affidati all’OCSE/G20. Stante la perdurante assenza di una conclusione condivisa in sede unionale, alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, hanno intrapreso iniziative unilaterali. Pur ricalcando la proposta di direttiva nei tratti qualificanti, l’iniziativa nazionale è stata accolta con sfavore da parte della dottrina[2]. Nello specifico, si è sostenuto che un approccio unilaterale alla tassazione dell’economia digitale non può che dimostrarsi fallimentare[3]: solo una disciplina transnazionale può livellare il trattamento degli operatori digitali globali senza doppie imposizioni e ingiustificate distorsioni della concorrenza, oltre predisporre uniformi misure di contrasto alle nuove e sofisticate tecniche di elusione fiscale in campo nel settore. A fronte di tali considerazioni, la disciplina italiana, nella consapevolezza dei propri limiti, è stata concepita come transitoria, a mezzo della previsione di una sunset clause[4] che subordina l’abrogazione dell’imposta all’approvazione di una disciplina unionale condivisa. La disciplina nazionale. L’ Imposta sui Servizi Digitali (d’ora innanzi ‘ISD’) di cui all’art. 1, co. 35-50 della l. n. 145/2018, così come modificata dall’art. 1, co. 68 della l. n. 160/2019, è operativa: il 16 maggio 2021 è scaduto il termine[5] per il versamento della digital tax italiana, con riferimento alle operazioni imponibili nel 2020. A seguito dell’entrata in vigore dell’imposta, per effetto della Legge di Bilancio 2019[6], si è attesa a lungo l’emanazione di disposizioni attuative, pervenute, in via definitiva, solo con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 15 gennaio 2021[7]. Ulteriori chiarimenti interpretativi in merito all’attuazione sono stati, poi, forniti dalla Circolare 3/E del 2021[8]. Dal punto di vista strutturale, l’ISD si definisce come un’imposta indiretta sui ricavi lordi[9], deducibile ai fini Ires e Irap e sottoposta alla disciplina Iva con riguardo ad accertamento, riscossione, contenzioso e sanzioni. Si presenta come un’imposta ‘triangolare’ imperniata sulla partecipazione di tre protagonisti: l’impresa digitale, gli utenti delle piattaforme informatiche ed i clienti che acquistano servizi digitali. Il fine ultimo è quello di tassare la monetizzazione del contributo degli utenti che partecipano ad un’interfaccia digitale, fornendo dati relativi alle proprie informazioni personali, in modo più o meno consapevole. A fronte di tale assetto, autorevole dottrina[10] ha ipotizzato l’individuazione di un nuovo indice di capacità contributiva: il potere di disporre dei dati degli utenti. Gli specifici servizi digitali che ricadono nell’ambito oggettivo dell’imposta si articolano, infatti, in tre modalità (complementari) della gestione dei dati forniti dagli utenti, riconducibili al potere di acquisizione, di disposizione e di elaborazione dei dati ai fini del collocamento di pubblicità mirata. Segnatamente, i servizi tassabili sono: -la veicolazione di pubblicità mirata su un’interfaccia digitale, in cui rilevano solo i servizi pubblicitari specificamente direzionati all’utente dell’interfaccia (ad esito della profilazione dell’utente); -la messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consenta agli utenti di comunicare direttamente tra di loro; -la trasmissione dei dati raccolti dagli utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale. I soggetti passivi, di conseguenza, sono coloro che veicolano i dati, nel senso che cedono i propri spazi digitali (publishers) per ospitare pubblicità mirata di terzi[11] ovvero acquistano lo spazio pubblicitario altrui per collocare la propria pubblicità (advertiser) o, ancora, trasmettono a titolo oneroso i dati ottenuti da altri mettendo a disposizione la propria interfaccia. L’ambito soggettivo è condizionato dal superamento di due soglie dimensionali per qualsiasi soggetto esercente attività d’impresa, residente o meno nel territorio dello Stato, con o senza stabile organizzazione: -ricavi percepiti per almeno € 750.000.000,000, ovunque realizzati; -ricavi percepiti per almeno € 5.500.000,00 derivanti da servizi digitali realizzati nel territorio dello Stato. Il superamento di dette soglie deve essere contestuale nell’anno solare antecedente a quello di applicazione dell’imposta e rileva sia come impresa che, complessivamente, come gruppo. Ai fini dell’individuazione dei ricavi percepiti in Italia è stato predisposto un criterio di collegamento territoriale anch’esso connesso ai dati degli utenti, in quanto basato sulla localizzazione dell’utente i cui dati sono considerati. Nello specifico, ad essere localizzato è il dispositivo utilizzato dall’utente per accedere all’interfaccia digitale. Al riguardo, la Circolare 3/E del 2021 precisa che laddove non sia disponibile l’indirizzo IP del dispositivo, è possibile localizzare gli utenti tramite GPS, WI-FI, Beacon, Cookies, Stazioni radio base o mediante le informazioni rese volontariamente dall’utente (ad esempio l’indirizzo di consegna registrato sull’interfaccia). Il collegamento territoriale va stabilito in momenti diversi per le differenti tipologie di servizi digitali oggetto dell’imposta: -per la veicolazione di pubblicità mirata rileva il momento in cui la stessa appare sul dispositivo; -per la messa a disposizione dell’interfaccia multilaterale, quando l’utente conclude delle operazioni sull’interfaccia (ossia quando sorge per l’impresa che gestisce l’interfaccia il diritto al corrispettivo, indipendentemente dall’effettiva percezione dello stesso)[12]; -per la trasmissione dei dati raccolti dall’utente ci si riferisce al momento in cui le informazioni vengono raccolte, a seguito dell’accesso dell’utente all’interfaccia. I medesimi criteri territoriali tornano utili nella determinazione della base imponibile. L’insieme dei ricavi percepiti nell’anno solare di riferimento[13], si sostanzia, infatti, nel «prodotto del totale dei ricavi dei servizi digitali ovunque realizzati da ciascun soggetto passivo dell’imposta per la percentuale rappresentativa della parte di tali servizi collegata al territorio dello Stato[14]». L’imposta si ottiene, così, applicando l’aliquota del 3% ai ricavi imponibili, assunti al lordo dei costi sostenuti per la fornitura di servizi digitali ed al netto dell’Iva[15] e delle altre imposte dirette. La disciplina prevede degli obblighi contabili in capo ai soggetti passivi: è necessario predisporre un prospetto analitico delle informazioni sui ricavi e sugli elementi utilizzati per calcolare l’imposta, da redigere annualmente entro il termine di versamento dell’imposta ed una nota esplicativa dello stesso prospetto, da redigere entro il termine di presentazione della dichiarazione. Spunti critici. Diverse perplessità sono sorte con riferimento all’ambito soggettivo dell’imposta. In particolare, la prima soglia (ricavi percepiti per almeno 750 milioni ovunque realizzati) fa riferimento a ricavi di qualsiasi natura, mentre la seconda soglia (5,5 milioni nel territorio dello Stato) restringe l’ambito soggettivo ai ricavi qualitativamente derivanti da servizi digitali. Al riguardo, è stato evidenziato[16] come detta impostazione finisca per colpire non solo le multinazionali del web, ma anche le grandi imprese/gruppi esercenti attività affatto differenti e con un business digitale marginale. La ratio della norma sarebbe meglio rispettata, a parere di alcuni[17], dalla disciplina francese, che prevede una soglia di ricavi esclusivamente nazionale pari a 25 milioni. In tal senso si è suggerito l’innalzamento della seconda soglia di ricavi ISD, anche per non scoraggiare la nascita di nuove start up nel settore[18]. Non solo. Nella Circolare 3/E viene esplicitato che la prima soglia rinvia ai ricavi realizzati secondo il principio di competenza, mentre la seconda fa riferimento a quelli percepiti (principio di cassa), considerando come «detta scelta operata nel provvedimento è coerente sia con la natura di imposta indiretta dell’ISD, sia soprattutto con la disposizione contenuta nella norma primaria, che fa espresso riferimento all’anno solare[19]». Tale assetto diviene, tuttavia, problematico per i soggetti passivi dell’imposta i cui bilanci non coincidono con l’anno solare e che dovrebbero, ai solo fini ISD, adottare una rilevazione apposita dei propri ricavi [20]. Con riguardo alla predilezione del principio di cassa in merito alla seconda soglia (e all’individuazione dei ricavi imponibili[21]), sorge il problema di chiarire la corretta imputazione temporale delle variazioni in aumento o in diminuzione, ossia di decidere se le stesse rilevano nell’esercizio delle operazioni variate o in quello delle variazioni stesse[22]. Alcun chiarimento in tal senso è stato fornito, ad oggi, dall’Agenzia. Un altro aspetto di perplessità è il dichiarato rischio di doppia imposizione in cui potrebbero ricadere i ricavi dei soggetti passivi ISD. La Circolare 3/E del 2021 chiarisce espressamente che «l’imposta sui servizi digitali non compare nelle Convenzioni concluse dall’Italia e non può ritenersi inclusa nel relativo ambito applicativo per l’assimilazione operata dal citato paragrafo 4 [del modello OCSE contro le doppie imposizioni]». Ciò, in quanto non è configurabile come un’imposta sul reddito, bensì sui ricavi lordi. Pertanto, il medesimo ricavo potrebbe essere soggetto a molteplice imposizione, senza che venga riconosciuto al soggetto passivo alcun credito d’imposta per quanto già corrisposto sulle stesse somme. Con riguardo, poi, al profilo della responsabilità, autorevole dottrina[23] si è espressa con riferimento al paragrafo 9.1 del Provvedimento attuativo del 15 gennaio 2021, che introduce una forma di solidarietà tributaria per cui il soggetto residente risponde del versamento dell’imposta in solido con il consociato estero (residente in un Paese collaborativo e privo di stabile organizzazione in Italia) appartenente al medesimo gruppo. Detta obbligazione si estende a tutte le consociate italiane, indipendentemente dalla qualifica di soggetti passivi ISD, a meno che una consociata non sia designata agli adempimenti fiscali[24]. In tal caso, l’obbligazione non si estende alle altre consociate sul suolo nazionale. Detto assetto, sussiste solo per i soggetti passivi privi di stabile organizzazione e localizzati in Paesi collaborativi, mentre per i soggetti esteri in Stati non collaborativi è previsto l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale in Italia[25], la cui presenza «rende superflua la previsione di una responsabilità solidale dei soggetti residenti in Italia». Tale impostazione ha alimentato non poche preoccupazioni in merito all’insorgere del contenzioso: «l’effetto che questa solidarietà può provocare è potenzialmente dirompente in quanto ad oggi non è specificato su quali basi verranno eseguite le verifiche sul soggetto italiano ritenuto solidalmente responsabile posto che le informazioni relative al soggetto estero potrebbero non essere note[26]». Non da ultime le perplessità legate ai criteri di geolocalizzazione degli utenti (o meglio, dei loro dispositivi), che si riflettono sugli obblighi contabili[27] in capo ai soggetti passivi. Ciò che si evince dalla disciplina attuale è che dovrà essere garantito un report costante dei dati degli utenti raccolti ai fini dei controlli futuri dell’Agenzia. Sarà, quindi, necessario provare documentalmente il funzionamento delle procedure di localizzazione, a prescindere dai metodi utilizzati[28] (che sono rimessi alla libera scelta dei soggetti passivi). Va, tuttavia, rilevato che i dati sono forniti in tempo reale da piattaforme complessissime e la questione, sul piano pratico, è tutt’altro che agevole, posto che la rendicontazione si basa, al momento, sulle informazioni personali ricevute dalla piattaforma tramite report informali. Potrebbe non essere possibile conservare tutte le informazioni ricevute, sia per ragioni di dimensioni che di privacy degli utenti. Sul punto, è stato evidenziato che un siffatto quadro normativo pone i soggetti passivi del tributo dinnanzi alla irragionevole scelta di adempiere agli obblighi ISD, venendo meno a quelli in materia di privacy, a fronte del fatto che «un’altissima percentuale di utenti sceglie deliberatamente di non comunicare ai prestatori di servizi online le informazioni sulla propria geolocalizzazione [29]». [1] La proposta n. 148 Final del 21 marzo 2018 relativa al sistema comune dell’imposta sui servizi digitali applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di tali servizi. [2] Assonime, Circ. n. 15/2020, Risposta alla procedura di consultazione pubblica indetta dall’Agenzia delle Entrate; cfr. anche Assonime, Circ. n. 21 del 4/08/2017, Prime considerazioni sulla web tax “transitoria”. [3] A. Carinci, La fiscalità dell’economia digitale: dalla web tax alla (auspicabile) presa d’atto di nuovi valori da tassare, in il Fisco n. 47/2019, pag. 4507. [4] Cfr. art. 1, co. 49-bis della l. n. 145/2018, ove si prevede che «i commi da 35 a 49 sono abrogati dalla data di entrata in vigore delle disposizioni che deriveranno da accordi raggiunti nelle sedi internazionali in materia di tassazione dell’economia digitale». A. Sandalo, A. Tomassini, Trattati bilaterali, sulla web tax lo spettro dei futuri contenziosi, in Il Sole 24 Ore del 26/04/2021. [5] Termine prorogato a tale data dall’ art. 5, co. 15, d.l. n. 41/2021. [6] L. n. 145/2029, art. 1, co. 35-50. [7] Preceduto dalla bozza di Provvedimento apertasi il 16 dicembre 2020 e conclusasi in data 31 dicembre 2020. [8] La circolare tiene espressamente conto delle questioni sollevate dagli operatori con i contributi inviati in occasione della consultazione pubblica sullo schema di Provvedimento del 16 dicembre 2020. [9] L. Del federico e C. Ricci suggerivano, nell’ambito del proprio contributo alla consultazione pubblica sullo schema del Provvedimento, di sostituire il termine “ricavi” con quello di “corrispettivi”, al fine di marcare meglio le distanze dall’imposizione sui redditi. Cfr. sul punto anche E. della Valle, Imposta sui servizi digitali: si parte?, in il fisco n. 18/2021, p. 1715. [10] G. Fransoni, Note sul presupposto dell’imposta sui servizi digitali, in Rassegna Tributaria, n. 1/2021, p.13. [11] Tant’è che non rilevano i ricavi infragruppo, posto che per terzi si intendono le Società esterne al gruppo di imprese. [12] In tal senso, la citata circolare fornisce un esempio chiarificatore: laddove, durante un viaggio in treno diretto a Parigi, ma ancora in territorio nazionale, un utente decidesse di ordinare del cibo su una piattaforma di food delivery, inserendo un indirizzo di consegna in Francia, la circostanza che l’utente si trovi in Italia al momento dell’ordine determina l’assoggettamento del servizio all’ISD Italiana. [13] Con l’eccezione di quelli che derivano da servizi digitali resi a soggetti controllanti/controllati, ai sensi dell’art. 2359 c.c. [14] Paragrafo 3.8. del Provvedimento del 15 gennaio 2021. [15] I ricavi imponibili possono derivare da servizi digitali sottoposti a Iva/altra imposta indiretta in uno altro Stato. Ecco perché ai fini ISD si considerano solo i corrispettivi riferibili alla prestazione fornita, senza riferimento a quanto addebitato in fattura o per altra imposta indiretta (cfr. circ. n. 3/E del 2021, par. 6). [16] A. Sandalo, A.Gallucci, Digital tax, una sola società obbligata per il gruppo, in il Sole 24 Ore del 26 gennaio 2021; cfr. anche G. Gallucci e M. Pennesi, Digital tax, i ricavi (per competenza) da calcolare per cassa, in Il Sole 24 ore del 3 febbraio 2021. [17] Cfr. Studio Legale Salvini e Soci, Assonime e il Sole 24 Ore, nei contributi alla consultazione pubblica più volte menzionata. [18] Il Sole 24 Ore, ibidem. [19] Art. 1, co. 40, l. n. 145/2018. [20] Non è passato, poi, inosservato che i corrispettivi derivanti dalle operazioni infragruppo sono considerati, al contempo, rilevanti per il superamento delle soglie e, non rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile. L. Del Federico e C. Ricci, ibidem. [21] Scelta, questa, non apprezzata nella proposta del Consiglio UE (cfr. art. 4, par. 5 della proposta di direttiva citata). [22] Assonime, ibidem. Cfr. sul punto anche M. Cerrato, L. Pelverini, Web Tax, per le sanzioni ingiusto il modello Iva, in Il Sole 24 Ore del 6 aprile 2021. [23] G. Gallucci, M. Pennesi, ibidem; cfr anche A. Sandalo, A. Tomassini, ibidem. [24] Cfr. punto 7.7 del Provvedimento del 15 gennaio 2021. [25] G. Gallucci, M. Pennesi, ibidem. [26] M. Pennesi, Digital tax, la pubblicità e mirata è tassabile solo se l’utente partecipa, in Il Sole 24 Ore del 29 marzo 2021. [27] Con specifico riguardo agli obblighi contabili, poi, L. del Federico (ibidem) ha evidenziato che sarebbe bastato prevedere l’indicazione di un codice Iva distinto per gli elementi necessari ai fini del calcolo della base imponibile ISD, evitando un appesantimento degli obblighi contabili già di per sè faticosi, per le difficoltà sopra evidenziate. [28] Studio legale tributario Fantozzi e Associati, contributo alla consultazione pubblica più volte menzionata. [29] Studio legale tributario Salvini e Soci, ibidem.
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